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Il nostro caro «Seminario lombardo delle missioni estere» aveva un fine unico: la missione alle genti. Come scrive padre Tragella (Storia del Pime, vol. II, pag. 11): “Nei primi tempi… un maggior risparmio di personale non si saprebbe immaginare. Il pensiero delle missioni, nel senso strettissimo della parola, cioè delle terre avute in consegna dalla S. Congregazione di Propaganda per evangelizzare, dominava tutto». Quando nel 1863 Marinoni si trova con qualche missionario ancora da destinare e gli pare che le missioni, per il momento, possano farne a meno (anche perché letteralmente non sapevano come mantenerli!), chiede a Propaganda una nuova missione: e arrivano la Birmania (1867) e lo Honan in Cina (1869).
Il «risparmio di personale» di cui parla Tragella riguardava la gestione del Seminario a Milano. La guida di Marinoni era necessariamente personalizzata. S’interessava di tutto, seguiva tutto, come un padre di famiglia. Mandava un biglietto a Scurati, che era alla Grugana, per dirgli di pagare l’ortolano e l’uomo che coltivava le nostre terre, di ordinare il vino e poi avrebbe mandato i soldi per pagarlo, ecc. Dal punto di vista economico, Marinoni, nell’autentica povertà in cui viveva, era parsimonioso, avveduto. Partendo da zero, è riuscito a formare e mandare 125 missionari in missione (110 padri e 15 fratelli) in 40 funzioni di partenza, sostenendoli nei viaggi e nelle fondazioni: un sant’uomo, ma con i piedi per terra.
Ha governato l’Istituto con saggezza, anche se in modo un po’ elementare. Non c’era nessuna struttura, eccetto il procuratore a Roma (p. Giovanni Maria Alfieri dei Fatebenefratelli) per i contatti con la Santa Sede; e il procuratore a Milano (p. Alessandro Ripamonti) per l’invio in missione dei missionari e degli aiuti; ma per quanto riguardava il seminario, la casa, i lavori, le riparazioni, la “propaganda missionaria”, le lettere ai missionari e le visite ai vescovi lombardi faceva tutto Marinoni, comprese le richieste di sussidi alla Propagazione della fede a Lione e a Parigi. Scurati si interessava della rivista («Le Missioni Cattoliche»), Marinoni teneva i rapporti con la Santa Sede, i vescovi, i benefattori, i missionari.
Anche la formazione degli alunni la curava Marinoni[4]. C’era il padre spirituale del seminario, ma poi dalla prima domanda di ingresso alla guida del seminario teologico (dopo il 1875) e al giudizio per l’ordinazione sacerdotale e la partenza, tutto era gestito da Marinoni col suo consiglio. Va notato che fino al 1875 entravano solo alunni già sacerdoti, che rimanevano un anno o poco più in casa per una formazione missionaria prima della partenza. Nel 1875 incomincia il seminario teologico, ma con 8-10 alunni al massimo (la casa non ne conteneva di più). L’insegnamento era fatto in gran parte in famiglia, da Marinoni, Ripamonti, Carlo Bolis, Scurati. Per l’inglese ricorrevano ad un esterno.
L’Istituto missionario è rimasto piccolo, povero, con la sola sede del santuarietto di S. Calocero a Milano (oltre alla Villa Grugana donata dai coniugi Cavalli nel 1882), i cui vani abitativi erano su due piani con 16 stanze in tutto e per tutto. Il progetto di ingrandirlo, acquistando un orto vicino al santuario, non andò a buon fine: Marinoni chiese un aiuto a Propaganda, che non arrivò mai. Nelle commoventi strettezze di strutture, di personale e di finanze in cui Marinoni e i nostri primi “antenati” vivevano (in una lettera alla sorella Margherita chiede di donare un po’ di vino ai missionari a Milano, perché non ne avevano più!), il direttore trovava il tempo di scrivere, a mano naturalmente, lunghe lettere ai suoi missionari.
Lo stile delle sue lettere era moderno (da buon giornalista non usava parole astruse né giri di frase), concreto, vivace, tanto che la sua corrispondenza si potrebbe pubblicare anche oggi senza correzioni di rilievo. Le sue non erano lettere studiate, ma scritte di getto, col tono dell’autenticità. «La prima cosa che colpisce in queste lettere — scrive don Virginio Cognoli — è l’atmosfera di grande spiritualità e profondità, che stava proprio nel cuore, nell’anima di Marinoni: uomo di Dio, di preghiera, di fede, ma anche molto concreto, pratico. Al momento opportuno anche giustamente severo». Marinoni era un buono di natura, ma sapeva farsi obbedire. Prima di diventare superiore dei missionari era un ottimo prete, ma pieno di scrupoli, indeciso, sempre in ricerca (aveva cambiato due istituti prima di essere chiamato al Pime), bisognoso di farsi guidare da altri. Quando diventa superiore cambia quasi natura, sa essere paterno ma è deciso e non tollera disobbedienze gravi.
Un esempio: il padre Domenico Davanzo era stato richiamato da Hong Kong a Milano per un servizio all’Istituto, ma opponeva resistenza; dopo richiami e attese, Marinoni gli manda un ordine perentorio. Davanzo ritorna, ma il suo cuore batte per Hong Kong: dopo un po’ scappa da Milano e va a Marsiglia per ritornare nella sua missione (13 novembre 1873). Marinoni, appena saputa la notizia, lo insegue (pensiamo ai viaggi di quei tempi!) e arriva a Marsiglia il giorno stesso in cui parte la nave: è così autorevole e convincente che il missionario abbandona ogni velleità di ritornare in missione e sarà procuratore delle missioni a Milano fino alla morte (1877).
Il direttore del Seminario lombardo curava molto l’unione fra i missionari, aveva delicatezze di padre per loro (ad esempio, a Scurati ammalato manda le caramelle, ai missionari in India bottiglie di fernet) e faceva il possibile per aiutarli. Ma voleva che dipendessero dal superiore. Quando sa che mons. Simeone Volonteri del Honan incarica un suo missionario di andare a Lione per chiedere aiuti alla Propagazione della fede, si lamenta con lui: le missioni sono affidate al Seminario di Milano, che ne ha la responsabilità ultima; io quindi debbo sapere le vostre situazioni e necessità; andate pure a Lione, ma informatemi, perché sono anch’io in contatto con Lione e non voglio che si faccia qualcosa quasi di nascosto!
Il richiamo di alcuni missionari per farli servire nelle strutture dell’Istituto, è sempre stato motivo di contrasto fra Marinoni e i vescovi (tutti del Pime), i quali sostenevano che non erano obbligati ad obbedire alle richieste del direttore di Milano, perché «il dovere degli ordinari è di impedire il danno del gregge loro affidato». Nel caso del p. Candido Uberti, nel 1884 richiamato dal Bengala, il superiore della missione il vescovo mons. Francesco Pozzi scrive a Roma protestando e il cardinale di Propaganda, Simeoni, revoca il comando di Marinoni, che deve obbedire! Però nel 1886, le nuove Regole, fatte da Marinoni e approvate da Propaganda, sanzionano in modo chiaro i diritti del direttore del “Seminario missionario di San Calocero”.
Padre Gheddo su InforPime (2011)
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