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Foto di billy cedeno da Pixabay

Non sappiamo più guardare lontano. Questo il titolo dell’editoriale che Ernesto Galli Della Loggia ha pubblicato sul Corriere della Sera il 29 dicembre 2002. Dopo le “due grandi invenzioni della seconda metà del XX secolo – il welfare e la costruzione europea – la politica democratica offre uno spettacolo di sterilità. Nei nostri Paesi essa non è stata capace di inventare da allora sostanzialmente più nulla”. Ecco perché manchiamo di grandi obiettivi politici, capaci di appassionare le giovani generazioni.

Di qui la generale perdita di senso, la decadenza della politica, la disintegrazione della società. Una politica animata da grandi ideali potrebbe ridare all’Europa, e in particolare all’Italia, l’ottimismo, il coraggio, la forza di impegnarsi per mete plausibili e impegnative. Nel dicembre 2003, si è giunti vicini alla firma della Costituzione europea: si sta costruendo l’Europa (prossimamente di 25 Paesi) in campo politico, giuridico, economico, militare, commerciale… Ma i popoli europei, soprattutto i giovani, non hanno forti passioni, mancano di ideali per i quali valga la pena di spendere la propria vita.

Sessant’anni fa, negli anni dopo la seconda guerra mondiale, noi giovani cattolici ci sentivamo protagonisti nella ricostruzione dell’Italia (dopo le distruzioni della guerra), nel fondare una repubblica democratica (sulle ceneri della dittatura fascista), superare le barriere di odio e di violenza che dividevano gli italiani e scongiurare il pericolo, allora molto concreto, di scivolare dietro la “cortina di ferro”. La vigorosa ed entusiasta Azione cattolica di quel tempo ci animava per questi ideali, insistendo sui gravi sacrifici che il dopoguerra richiedeva a noi giovani. Eravamo pieni di fede e con una grande carica di donazione della nostra stessa vita per costruire un mondo nuovo. Oggi, al contrario, noi soffochiamo nel superfluo, nello spreco, nell’indifferenza, nell’aridità dei sentimenti.

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Il grande ideale che il mondo globalizzato ci impone è la solidarietà e l’integrazione con i “popoli altri” che premono alle nostre frontiere e chiedono di avere il necessario alla vita: questa la massima sfida del nostro tempo. Ma all’orizzonte non si vedono soggetti educativi che prendano sul serio questo orientamento religioso, culturale, politico: governi, partiti, sindacati, scuole, mass media, associazioni, famiglie, sembrano orientati all’inseguimento del produrre di più, avere di più, consumare di più, come se questo potesse risolvere la nostra crisi esistenziale. Manchiamo di visioni messianiche, non siamo capaci di “guardare lontano”. Noi insegniamo ai giovani a protestare “contro” (si pensi alle manifestazioni contro la globalizzazione e le multinazionali!), ma incapaci di chiedere sacrifici “per”.

Parlando ai giovani del Liceo diocesano di Trento, a chi mi chiedeva cosa penso dei “no global” dicevo: “Tutto il bene possibile per l’ideale che proclamano, di volere un mondo nuovo e di aiutare i popoli poveri; tutto il male possibile per l’errata impostazione del movimento: è una delle tante manifestazioni contro, non ho ancora visto una proposta forte ai giovani per impegnarli, con gravi sacrifici personali, a costruire un mondo nuovo”.

Ho citato lo slogan lanciato nel 1982 dal Comitato ecclesiale contro la fame nel mondo: “Contro la fame cambia la vita”; e ho detto: “Le proteste hanno senso se sono accompagnate da una conversione del nostro modello di sviluppo e della nostra vita. Altrimenti sono un alibi ipocrita: le multinazionali siamo noi, col nostro vivere nello spreco, nel superfluo, nel voler avere sempre di più. Per essere fratelli dei poveri occorre andare contro-corrente. Ad esempio, perché voi giovani non vi impegnate a rifiutare la discoteca, a protestare contro il divertimento disumano delle discoteche? Non si può essere solidali con i poveri e sprecare le notti in quei divertimenti che sono il simbolo della nostra società nichilista e allo sbando“.

Gesù nel Vangelo dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt, 19, 19); e ancora: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Come tradurre queste indicazioni della fede in progetti operativi concreti in campo politico, culturale, educativo ed economico? Questo il tema che dovrebbe essere al centro dell’attenzione dei mass media, della politica, della scuola, della stessa Chiesa e formazione cristiana: invece non se ne vede quasi traccia. Ecco la protesta da fare, in positivo. 

 Piero Gheddo
febbraio 2004

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