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I missionari che ritornano in Italia per vacanza e cure si stupiscono soprattutto di questo: perché gli italiani sono così tristi, scontenti, pessimisti, litigiosi e divisi? Eppure l’Italia è il paese in cui molti vorrebbero vivere. In questi tempi di crisi politica ed economica, rifletto su quand’ero ragazzo (sono del 1929): l’Italia era un paese povero, con un bassissimo livello di vita rispetto ad oggi. Eppure il clima che si respirava, nelle campagne vercellesi e anche nella mia famiglia, era di ottimismo, di speranza, di cordialità. Oggi i giovani nascono e vivono in un clima di pessimismo, di aridità nei rapporti umani, in una continua litania di lamenti, proteste e scioperi, con giornali e televisioni pieni di delitti, processi, rapine: come possono concepire il futuro in senso positivo, se tutto quel che li circonda va in senso negativo? Il popolo italiano non solo è scontento e pessimista: è sbandato, senza ideali. Non sa più a chi credere e in cosa credere. Le speranze poste nello sviluppo infinito, nel crescere continuo del benessere e del superfluo da un lato; nell’utopia ideologica della rivoluzione e dell’uguaglianza assoluta dall’altro, sono tutte crollate. Cosa rimane ai giovani italiani, se non l’immergersi nel materialismo e nell’egoismo individualista?
Perché oggi questa “cultura di morte” è dominante in Italia? Perché gli italiani fanno pochi figli e, se non entrassero molti “terzomondiali”, la nostra società si bloccherebbe perché non abbiamo più giovani?
Due motivi fondamentali: primo, abbiamo dimenticato Dio, fonte di ogni gioia e di ogni speranza. Quanto più ci allontaniamo da Dio e tanto più la vita perde senso. Siamo stati creati da Dio e la nostra natura, la nostra psiche, il nostro DNA sono orientati allo scopo basilare di ogni essere umano: cercare Dio e ritornare a Dio. Se questo orizzonte soprannaturale scompare dalla nostra esistenza, la vita si immiserisce nelle cose materiali, che passano in fretta e non danno né ottimismo né cordialità. Rimando ai tre volumi dell’indimenticabile gesuita compaesano padre Gino Rulla: “L’antropologia della vocazione cristiana” (Piemme), di cui ho già scritto in armagheddo marzo 2004: “La psicologia moderna causa guai”.
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La seconda evidenza è che noi tutti viviamo al di sopra di quello che il paese Italia oggi può consentirci. L’immenso debito pubblico (il maggiore dei paesi industrializzati!) ne è un chiaro segno. Gli anni del “boom” economico, dal 1950 in avanti, sono stati caratterizzati dalla corsa verso l’avere di più; questo era comprensibile quando eravamo poveri e mancavamo del necessario. Ma poi, negli anni della prima grave crisi economica e politica (1970-1980), abbiamo continuato nella corsa al superfluo: per motivi elettorali i governi finanziavano le aziende in perdita, concedevano tutto e più di tutto, fino all’assurdo, per i dipendenti pubblici, di poter andare in pensione dopo 15 anni di lavoro per lo stato! Intanto aumentava l’inflazione e il debito pubblico. Dopo il 2001 e l’inizio della “terza guerra mondiale” (contro il terrorismo), in tempi di crisi e di recessione economica, non riusciamo più a fare marcia indietro. Allora attribuiamo la causa della crisi alle errate politiche del governo, ai sindacati, ai terzomondiali, ecc.
In Giappone un missionario mi diceva: “Il Giappone è un paese ricco e un popolo povero, l’Italia un paese povero e un popolo ricco”. Il popolo giapponese, più ricco dell’italiano come “prodotto interno lordo”, vive ad un livello di vita parecchio inferiore al nostro: cibo, casa, vestiti, auto, beni superflui; lavora di più, studia di più, fa meno scioperi, ecc. Ma è più avanti di noi nelle scuole e nell’istruzione, in ospedali e assistenza sanitaria, in libri e giornali, nei servizi pubblici, in metropolitane, ponti e strade, nell’unità della nazione di fronte alle difficoltà. Nel 1977 Enrico Berlinguer pubblicava un opuscolo interessante (“Austerità, occasione per trasformare l’Italia”, Editori Riuniti, pagg. 62), sul “progetto di rinnovamento della società italiana” di fronte alla crisi economica di quel tempo (causata dall’aumento del petrolio); affermava che “la politica di austerità è una scelta obbligata e duratura e, al tempo stesso, una condizione di salvezza per il popolo italiano. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale di fondo; di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco, lo sperpero, l’esaltazione dell’individualismo più sfrenato… e non è affatto detto che la sostituzione di certe abitudini con altre più rigorose conduca ad un peggioramento della qualità e dell’umanità della vita.… L’austerità comporta restrizioni di certe disponibilità a cui si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti… Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana”. Raccomandazioni che la Chiesa fa da sempre senza essere ascoltata. Come mai questo discorso oggi non si sente più fare da nessun giornale o televisione, da nessun leader del governo o dell’opposizione, né dai sindacati né dai partiti e movimenti specializzati nella protesta, tipo i radicali e i no-global?
Piero Gheddo
ottobre 2005
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