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Otto giorni in Libia rivelano di questo paese islamico un volto diverso da quanto si immagina, anche riguardo alla comunità cristiana, piccola e straniera, ma viva nel “dialogo della vita” con un popolo islamico. La prima impressione a Tripoli (1,2 milioni) è molto favorevole: ampie strade e superstrade, molte auto, negozi forniti di tutto, case moderne e assenza di baraccopoli, un buon numero di turisti e molti lavoratori stranieri (specialmente egiziani) venuti dopo l’embargo dell’Onu contro la Libia (1992-1998), che aveva ridotto il paese agli estremi della sopravvivenza. Anche uscendo da Tripoli e proseguendo verso Bengasi, su quella che era la “Via Balbia”, si percorre una superstrada a tre-quattro corsie in un senso e nell’altro, superando numerosi villaggi di coloni italiani, a volte abbandonati ma non distrutti (“quasi in attesa che qualcuno venga a coltivare queste terre” mi dice un italiano), con la chiesa (a volte moschea), la scuola, il municipio e le casette unifamiliari con la veranda ed il portico. Dove si vedono vaste piantagioni di ulivi, eucaliptus e pini, qui ci sono stati gli italiani.
Gheddafi: da terrorista a moderato
La Libia è estesa quasi sei volte l’Italia ma con soli 5,5-6 milioni di abitanti e depositi immensi di petrolio e gas che, pur utilizzati solo in parte, la rendono il terzo o quarto esportatore nel mondo (l’Italia importa dalla Libia il 30% del fabbisogno nazionale). Quindi un paese potenzialmente ricchissimo ma che, forse, solo da pochi anni ha trovato la via verso lo sviluppo. Indipendente dall’Italia dai tempi dell’ultima guerra mondiale, quando venne occupata dalle truppe inglesi e americane, si costituì poi in monarchia con il re Idriss es-Senussi, filo-occidentale e filo-italiano. Ma nel 1969 un pugno di ufficiali dell’esercito senussita con un colpo di stato porta al potere il colonnello Muammar El Khadafi (Gheddafi, 27 anni), che avvia subito una politica avversa a Israele e all’Occidente, tendente a far assumere alla Libia la leadeship del mondo arabo. Nasser lo chiamava “mio amico e discepolo”.
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Anni drammatici per la comunità dei coloni italiani e degli altri stranieri (20.000 italiani, 10.000 altri occidentali), che tenevano in piedi l’agricoltura, la scuola, la sanità e la vita moderna del paese (industrie di base, trasporti, banche). Gheddafi espelle tutti gli stranieri incamerandone i beni e, com’era già capitato a Lumumba in Congo dieci anni prima (ma la storia non insegna mai nulla), porta il paese al rapido decadimento (100% di inflazione annua) e ad un notevole peggioramento del livello di vita. Anche la meta di unificare il mondo arabo e islamico fallisce, dopo i tentativi di unificazione con Egitto e Siria e poi di destabilizzare i governi di Egitto e Tunisia. La guerra con il Ciad per estendere i confini meridionali della Libia verso un’altra fetta di deserto dura vent’anni; l’intervento militare in Uganda nel marzo 1979 si risolve in un disastroso fallimento, come pure il tentativo di far cadere il regime di Habib Bourghiba della vicina Tunisia nel gennaio 1980; con l’Egitto la Libia ha un lungo periodo di “guerra fredda”: Gheddafi condannava il presidente egiziano Sadat che aveva stabilito rapporti diretti con Israele. Poi, ancora nel 1998, si costituisce la Comessa, Comunità degli stati sahelo-sahariani: Burkina, Ciad, Libia, Mali, Niger, Sudan.
La Libia era, per Gheddafi, “il solo paese anti-imperialista del terzo mondo”, ma fino al 1986 la sua politica estera è uno spreco ingente di uomini e risorse, che ottiene l’unico risultatodi inimicarsi il mondo arabo conservando l’amicizia con la sola Siria e l’Iran. Il generoso sostegno dato all’islam più estremistico e terroristico (finanziamento delle rivolte e attentati palestinesi) e le fondazione di moschee e “madrasse” (scuole coraniche) che lanciano messaggi anti-occidentali (in Africa nera, Filippine. Indonesia, Malesia e Bangladesh), allontanano sempre più la Libia dall’Occidente. Nel 1984 Gheddafi pubblica il suo “Libro verde” (100 pagine, piccolo formato), col sottotitolo: “La soluzione del problema della democrazia: il potere del popolo”: una teoria politica che è stata definita “un miscuglio di socialismo e di fascismo”, dove si teorizza una “terza via” fondata sull’islam e a favore del popolo.
La tensione con l’Occidente arriva al punto che nel 1986 la CEE, considerando Gheddafi il mandante e il finanziatore del terrorismo internazionale, lo condanna esplicitamente e vara sanzioni politiche ed economiche. Nell’aprile di quell’anno, Ronald Reagan fa bombardare Tripoli e Bengasi e in particolare le cinque o sei “tende” in cui abitava Gheddafi, all’interno di caserme fortificate. Il capo libico scampò per miracolo, una sua figlia adottiva morì e la moglie rimase gravemente paralizzata. La politica libica cambia gradualmente anche per un altro motivo noto a tutti i libici: mentre la Libia, ricca di risorse, era rimasta bloccata nel suo sviluppo per quasi vent’anni, la vicina Tunisia, estesa metà Italia, senza petrolio e con 10 milioni di tunisini, ha ancor oggi un livello di vita e di istruzione molto superiore a quello libico: evitando una rottura con l’Occidente, ha beneficiato della globalizzazione economica e culturale (libertà e passi verso la democrazia) e del turismo internazionale.
Verso lo sviluppo economico e sociale
Così, dopo gli estremismi degli anni settanta e ottanta, a poco a poco Gheddafi cambia linea in politica estera e risolve le controversie con i vicini, anche se nel 1992 l’ONU decreta l’embargo in seguito all’esplosione di un aereo Pan Am nel cielo di Lockerbie in Scozia, con la morte di 287 persone: il governo libico non voleva consegnare i due autori di quell’atto terroristico. Nel 1998 l’embargo termina, la Libia si apre al mondo occidentale e si sviluppa grazie al petrolio, ai tecnici e ai molti lavoratori stranieri. Il capo libico è indubbiamente un uomo intelligente: continua a fare discorsi rivoluzionari contro l’Occidente, a chiedere con insistenza altri risarcimenti per i danni della colonizzazione italiana; ma non c’è dubbio che la sua politica interna segue tutt’altra linea: reprime l’estremismo islamico con durezza, rinunzia ad appoggiare il terrorismo di matrice islamica, ammette le ditte occidentali allo sfruttamento del petrolio e ad investimenti industriali (da più di un anno sono arrivati anche gli americani). Il suo potere (che dura ormai da 37 anni) non è fondato solo sulla repressione degli oppositori, ma, dicono molti stranieri che vivono in Libia, su un consistente consenso popolare. Oggi il paese è sempre governato con pugno di ferro, ma osservatori stranieri dicono che Gheddafi sa venire incontro alle aspirazioni del popolo, avviando il paese verso una maggior libertà, istruzione e sviluppo economico.
Fra le grandi opere del governo libico avviate negli ultimi tempi, oltre alle strade va ricordata la canalizzazione dell’acqua dal deserto al nord del paese, con grandi acquedotti lunghi migliaia di chilometri (tubi alti due-tre metri), realizzati da ditte e tecnici sud-coreani. Com’è noto, sotto il deserto del Sahara (1000-2000 metri!) c’è “un mare d’acqua dolce”, col quale si potrebbe coltivare il deserto, come succede nella regione di Sabha che ho visitato (vedi più avanti). Oggi in Libia quasi tutto è importato persino i chiodi e le lampadine, ma si stanno rimettendo in funzione le fabbriche di cemento (una molto grande tra Al Khuma – l’antica Homs – e Leptis Magna) che c’erano al tempo degli italiani e stanno nascendo altre piccole industrie artigianali, meccaniche, tessili. L’Italia è il primo partner commerciale della Libia.
Un piccolo industriale di Dolo (Padova) esporta in Libia sedie, panche, mobili e tavoli di ferro: ha aperto un ufficio a Tripoli e viene ogni tanto a firmare contratti, specie con gli organimi governativi. Mi dice: “Non capisco perché molte ditte italiane esportano in Cina e in altri paesi lontanissimi e trascurano di venire in Libia, un’ora e mezzo in aereo da Milano, dove si importa di tutto e pagano bene”. Una ditta milanese sta impiantando una fabbrica di medicinali, specie retrovirali contro l’Aids, a 110 km ad ovest di Tripoli. Un tecnico di questa ditta, Luca Ceriani, mi dice: “L’Italia qui ha lasciato un buon ricordo, specie nella memoria degli anziani, gente semplice e buona, che viveva in amicizia con gli italiani. Quando sanno che sono italiano, si aprono, sono cordiali, si sforzano di dire qualche parole in italiano. La nostra lingua non è più insegnata né parlata normalmente, ma molti vedono la Tv italiana e apprendono qualcosa, almeno a capire cosa uno dice. Gheddafi a volte parla contro l’Italia per un motivo preciso: insiste sui danni del colonialismo e vorrebbe che il governo italiano gli donasse una grande autostrada dalla Tunisia all’Egitto (più di mille chilometri). Ma poi in pratica verso i turisti e i lavoratori di ditte italiane la gente è molto accogliente”.
Il “libro verde”, terza via tra fascismo e comunismo
Oggi la politica estera di Gheddafi guarda verso il continente africano. Egli si ritiene il pioniere dell’unità africana in funzione anti-coloniale ed esprime spesso l’idea che il colonialismo ha sfruttato l’Africa e per risollevarsi il continente africano deve unirsi contro il nuovo colonialismo sotto la bandiera verde dell’islam. La Libia cerca di portare la pace in Africa, aiuta i governi poveri, finanzia progetti di sviluppo, per favorire la diffusione dell’islam e per unire l’Africa politicamente ed economicamente. Gli aiuti economici della Libia sono visibili specialmente nei paesi sotto il deserto del Sahara (in Mali ha costruito la televisione nazionale) e quelli nei quali c’è già una buona presenza islamica. Per Gheddafi il continente da conquistare all’islam è l’Africa, dove finanzia la costruzione di moschee, scuole coraniche, centri culturali islamici, ma anche ospedali e ambulatori medici, manda aiuti nei casi di emergenza, accoglie con borse di studio studenti africani nelle università libiche, ecc.
Nel novembre 2006 c’è stato a Tripoli un grande congresso sull’emigrazione africana verso l’Europa. Vi hanno partecipato l’Unione africana con l’Unione europea, da parte italiana c’erano D’Alema e Amato. Gheddafi ha ricevuto i capi degli esteri della Comunità europea e diceva loro: se c’è questa emigrazione spontanea dall’Africa in Europa, se ci sono queste guerre intestine, è dovuto al vostro colonialismo, che ha fatto perdere all’Africa la sua identità. Ha affermato anche un’altra sua convinzione: il cristianesimo è entrato in Africa col colonialismo, non è fatto per l’Africa. Tra gli invitati presenti c’era pure un vescovo nero del Senegal, il quale si è alzato e ha detto: “Sì, è vero, il colonialismo ha portato tante cose negative all’Africa, ma io ringrazio che ha portato a me e ai popoli africani la fede in Gesù Cristo, che rappresenta la soluzione dei problemi africani e dell’uomo africano”.
Un italiano che da parecchi anni lavora in Libia mi dice: “Gheddafi prende decisioni che incontrano il favore della gente. Per esempio, ultimamente ha aumentato gli stipendi, ogni tanto dà delle gratifiche, per la festa del Ramadan e in altre occasioni. Bisogna dire che ha fatto molto per il popolo. Ha liberalizzato l’economia e aperto le porte della Libia agli stranieri, alle televisioni straniere (anzitutto italiana,la più gettonata), ai turisti. Ha dato molto alla libertà della donna: le bambine vanno a scuola, le giovani all’università e quando c’è il divorzio l’uomo se ne va di casa e la casa rimane alla donna, mentre nella tradizione islamica l’uomo ripudia la donna che abbandona la sua casa. Nella vicina Tunisia la donna ha un maggiori riconoscimenti, ma la Libia ha fatto buoni passi avanti e io vedo anche in questo un motivo per l’aumento del consenso popolare a Gheddafi”.
Chiedo all’amico su cosa si basa il potere di Gheddafi. “La Libia non ha Costituzione, c’è solo il “Libretto Verde”. In pratica lo stato è lui, tutto è basato su di lui. Non c’è nemmeno un partito, è il popolo che decide e Gheddafi rappresenta il popolo. Il Libretto Verde spiega tutta la sua teoria, vale la pena di conoscerlo. L’islam è la base, l’anima di tutto. Non l’islam fondamentalista che è condannato e represso, ma l’islam com’è vissuto dal popolo, che è l’anima della rivoluzione. Il popolo, vivendo l’islam, ha la saggezza di decidere. Alla base ci sono i Comitati popolari eletti nei quartieri, si riuniscono periodicamente ed eleggono i loro rappresentanti che partecipano una volta l’anno al Congresso generale del Popolo a Sirte (città natale di Gheddafi), per decidere varie questioni ed eleggere i ministri del governo della Libia; i comitati popolari di una città eleggono il sindaco della città, i sindaci eleggono i governatori delle regioni, ecc. Questa della Libia è una certa forma di democrazia che parte dalla base. Ma io penso che quando il popolo, in genere, è soddisfatto, vuol dire che la politica ha trovato la via giusta. E in Libia il benessere, ce qualche ano fa non c’era, si vede, strade, auto, vestiti, cibo, lavoro, ecc. C’è ancora molta povertà ma ad esempio non si vedono baracche a Tripoli, anche in periferia: case povere sì, ma vere baracche no. Gli affitti costano molto, ma il governo fa molte case popolari. In Libia c’è povertà, ma non miseria. Anche chi non lavora o non sa cosa fare, se la cava in qualche modo”.
Piero Gheddo
Mondo e Missione – marzo 2007
Pubblicato con il permesso del Pime
(18/7 R. Perin – Direttrice dell’Ufficio Storico del Pime)
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