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Nell’Anno sacerdotale che stiamo vivendo (19 giugno 2009 – 29 giugno 2010), il Papa ha raccomandato di far conoscere figure di santi sacerdoti, per sollecitare nel popolo cristiano la stima e la preghiera per i sacerdoti e gettare nell’animo dei giovani, con l’aiuto di Dio, il seme di una possibile vocazione sacerdotale.
Già ho presentato nell’agosto scorso il padre Paolo Ciceri, missionario in Bangladesh e uno dei fondatori della diocesi di Rajshahi (si veda il testo nel Sito: www.gheddopiero.it e nel menu cliccare l’indicazione: “Incontri e Conferenze”).
Questa sera presento un altro grande missionario del Pime, Augusto Colombo, morto il 31 agosto 2009 dopo 57 anni in India, uno dei personaggi più rappresentativi della Chiesa indiana nella difesa e promozione dei “fuori casta” (paria o dalit o harijans). Padre Augusto non è stato solo un operatore sociale, ma un missionario autentico, cioè un evangelizzatore, che ha iniziato e potenziato varie missioni ed ha anche fondato, con altri missionari, la diocesi di Khammam.
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La mia catechesi si svolge in tre punti:
- L’inizio della missione di Augusto tra i fuori casta, i paria delle campagne, fondando varie parrocchie e creando lavoro per il suo popolo (1952-1982).
- All’inizio degli anni ottanta, il vescovo lo chiama al centro della diocesi di Warangal, incaricandolo delle opere sociali diocesane, dove realizza grandi iniziative di promozione umana che lo fanno conoscere in tutta l’India (1983-2009).
- Infine parlerò dello spirito missionario di padre Augusto e della sua intelligenza pastorale, veramente straordinaria. Amava fare il prete e anche negli ultimi anni, pur fortemente impegnato in opere educative e sociali, ha continuato a fare il parroco e ad insegnare il catechismo ai bambini.
- Una vita spesa per il Vangelo e la promozione dell’uomo
Augusto Colombo nasce a Cantù (Como) il 15 marzo 1927, in una famiglia profondamente religiosa. I genitori di padre Augusto, Fortunato e Maria Molteni hanno dato la vita a sette figli, quattro sorelle e tre fratelli, fra i quali due diventano suore e Augusto prete missionario. La sorella suor Angela Colombo, delle suore di Maria Bambina, così parla della sua famiglia1:
“La nostra era una famiglia veramente religiosa ed è stata per noi figli un’autentica scuola di fede e e di umanità. Papà aveva un laboratorio di falegnameria con lo zio ed era un esempio di fede, onestà e operosità. Era un fabbriciere della parrocchia di San Michele a Cantù e fu un protagonista nella costruzione della chiesa parrocchiale. Allora Cantù era conosciuta per la produzione di ricami e merletti e per i mobili. Già il nonno aveva il laboratorio di falegnameria, continuato dai figli e procurava una certa agiatezza alle nostre famiglie. Lo zio divenne Cavaliere del Lavoro per la sua creatività nel disegnare e fabbricare i mobili. La mamma era una grande educatrice del tutto dedita alla famiglia e ai figli e ci abituava alla carità verso i poveri. La nostra famiglia, con sette figli dai 19 ai quattro anni, venne premiata nel 1934 dal governo che dava questo premio ad alcune famiglie numerose.
“In casa nostra alla sera si recitava il Rosario assieme, a cui faceva seguito la condivisione di esperienze della vita di ciascuno. Al mattino si andava a Messa con la mamma e la nonna. Partecipavamo all’Azione cattolica e a giocare andavamo all’oratorio. La sorella maggiore, Angelina, si è fatta suora della Carità di Sant’Antida Thouret ed è morta a 25 anni. Era stata due anni presidente delle giovani d’Azione cattolica prima di entrate in convento (1933-1935)”.
La vocazione sacerdotale di Augusto nasce in questo ambiente altamente educativo e religioso e la sorella suor Angela ricorda: “La sua decisione di entrare in seminario non è stata improvvisa, è maturata in vari anni. Ma non ne aveva mai parlato. In casa arrivavano giornali e riviste anche missionarie e ricordo che da piccolo Augusto voleva che la sorella maggiore gli raccontasse le avventure dei missionari. In seguito la lettura delle biografie di santi e di missionari penso abbia influito sulla sua scelta vocazionale
Nel 1944 Augusto è entrato nel Pime in prima liceo dal seminario di Venegono. Ecco due giudizi che dava di lui il suo parroco e il superiore del seminario diocesano, conservati nell’Archivio generale del Pime a Roma:
“Il chierico Augusto Colombo dimostra veramentei segni di una soda vocazione missionaria: pietà, intelligenza, docilità, carattere allegro e attivo fanno sperare molto bene di lui.Perciò alla sua domanda aggiungo anch’io una raccomandazione, affinchè venga accolto nel Pime certo che corrisponderà alle aspettative” (Don Giovanni Colombo, futuro cardinale arcivescovo, 3 luglio 1944).
“E’ ottimo il giudizio che dò sulla condotta e sulla vocazione del candidato suddiacono Augusto Colombo. Di ottima famiglia, religiosa e laboriosa, ha dimostrato nelle vacanze estive ottimo spirito ecclesiastico ed energia di lavoro per le cose del Signore, così da attirare la compiacenza e i buoni auspici per la sua vita d’apostolato, che potrà svolgere domani” (Don Ambrogio Galbiati, parroco di San Michele a Cantù, 10 maggio 1949).
il 25 maggio 1950 padre Augusto Colombo è ordinato sacerdote dal beato card. Ildefonso Schuster arcivescovo di Milano. Parte per l’India nel gennaio 1952 ed è uno dei primi missionari della diocesi di Warangal, che nasce nel 1953 col vescovo mons. Alfonso Beretta. In quegli anni, in Andhra Pradesh si registravano conversioni in massa di fuori casta (paria o dalit), che vivevano ai margini della società indiana e indù e trovavano nella Chiesa un aiuto alle loro necessità. Augusto giunge ad Hyderabad l’11 febbraio 1952. Nel maggio seguente inizia il suo apostolato nel villaggio di Bayyaram e si rende conto che i dalit (o paria), poverissimi e schiavi dei padroni di terre, non avevano nemmeno coscienza della loro miseria e fin dall’inizio mira alla promozione umana di questi indiani marginalizzati e disprezzati.
“Nel 1952 – racconta2 – il governo dello stato di Andhra Pradesh era musulmano e non faceva assolutamente nulla per cambiare la situazione. Si limitava a seguire l’antica e collaudata strategia del “finchè il popolo è povero e ignorante, lo si può governare facilmente”. Perciò niente scuole, niente ospedali e assistenze sociali. Per noi i paria dovevano essere trattati da persone, perciò ci siamo impegnati ad offrire loro tutti gli strumenti necessari al loro inserimento nella vita sociale. Solo così avrebbero potuto essere protagonisti del loro futuro. Un processo lento e faticoso”.
Per dare al lettore italiano un’idea della situazione dei paria negli anni cinquanta (oggi l’India è migliorata), racconto un episodio della prima visita che ho fatto nel 1964 all’amico Augusto, allora parroco a Khammam. Aveva preparato al battesimo un intero villaggio di fuori casta, Beddipally. E’ stato il mio primo e forse unico “battesimo di massa”: 190 catecumeni fra grandi e piccini da battezzare (62 li ho battezzati io). Una giornata emozionante, e pur nella povertà estrema di quel popolo, piena di gioia e di festa. Visitando con padre Augusto il villaggio, arriviamo ad un’alta siepe di rami spinosi e il padre mi dice: “Ci sono due Beddipally. Questo che abbiamo battezzato è il villaggio paria, diviso dal villaggio di casta dove vi sono la scuola, il tempio indù, i negozi, l’autorità statale, il dispensario medico. I nostri non hanno nulla e non possono entrare nel villaggio di casta”. Ho chiesto: perché i paria non protestano con le autorità, non fanno qualche manifestazione?
Augusto mi dice: “Il paria nasce paria e sa che morirà paria.E’ il suo destino, il suo karma, non ha ancora coscienza che questa situazione di oppressione può e deve essere cambiata. Noi predichiamo Gesù Cristo e il Vangelo perchè siamo convinti che portano una rivoluzione sociale senza violenza alcuna, ma instillando nelle menti e nei cuori il principio della dignità di ogni essere umano e dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio”.
“Se non vengono a scuola rimangono miserabili”
La prima missione di padre Colombo è a Bayyaram dove arriva il 31 maggio 1952. Il distretto missionario è molto vasto e 32 villaggi con cristiani o catecumeni da visitare, senza una sola vera strada. Bayyaram è un grosso villaggio poverissimo con capanne di fango e tetto di paglia, eccetto la chiesetta, la casa del padre e la scuola della missione. Padre Augusto studia la lingua telegu e incomincia a riflettere su come organizzare la sua vita di missionario. La Provvidenza lo mette sulla strada giusta. In India maggio è il mese più caldo, si arriva facilmente a 40 e anche 45 gradi! Poi, verso la fine di giugno, arrivano i venti monsoni carichi di pioggia e allora il clima diventa fresco e umido. Quando le piogge fanno sul serio, le case con il tetto di tegole riescono a tenere il pavimento asciutto; ma le capanne con il tetto di paglia, dopo un giorno o due giorni di pioggia, cominciano a fare acqua, in modo che quasi tutta la gente vive praticamente nel fango. Augusto racconta:
“Una notte, mentre la pioggia fa un baccano infernale sulle tegole del nostro tetto, una famiglia arriva nella veranda e batte alla porta. Apriamo la porta.Fradici fino alle ossa, il marito, la moglie, una bambina di cinque anni, vestiti di stracci e con un sacco sopra la testa, chiedono aiuto .La moglie porta in braccio un fagotto, dal quale emergono due piccole gambe scheletrite. “Swami (padre), piove da due giorni e la nostra capanna è tutta fango. Ormai non possiamo più ripararci e il nostro Chinnu, di un anno, ha la febbre e la tosse e scotta. Puoi aiutarci?”. Io avevo un po’ di medicine ma cosa fare? Portarlo in ospedale? E’ a 70 chilometri e non ci sono strade. Andare dal medico? E’ a trenta chilometri. Faccio entrare la famigliola nella nostra casa e dòloro vestiti e coperte asciutti. Poi, avendo un abbondante rifornimento di penicillina, faccio una iniezione al bambino. Gli antibiotici sono gli ultimi ritrovati in campo medico e fanno miracoli in Italia. Perchè non provarli anche in India? Porto la famiglia nella scuoletta dove ci sono stuoie su cui dormire.
A questi poveri, pensa il missionario, è inutile parlare subito di Dio e di Gesù, bisogna anzitutto aiutarli a sopravvivere; e il primo lavoro in cui s’impegna è la medicina. Aveva portato in India casse di campioni gratuiti: chinino, vitamine, antibiotici. Fra gente che non le ha mai provate, le medicine moderne “fanno veri miracoli”. Così Augusto incomincia a curare i malati. La Scuola di Medicina per missionari iniziata nel 1948 da Marcello Candia è stata provvidenziale: “A volte – mi scriveva da Bayyaram il 7 febbraio 1953 – mi pare di essere a Lourdes, tanti sono quelli che si dicono guariti”.
Nel Natale 1952, dopo sette mesi di lavoro a Bayyaram, scrive al Superiore generale:“La povertà e la miseria qui è grande, ma questa sarebbe nulla se non fosse accompagnata da una equivalente povertà morale e spiritualeche fa cascare le braccia perché più che materia ostile, è materia amorfa e indifferente al nostro lavoro. Certo non dobbiamo tirarci indietro, quello che veramente conta è l’opera della grazia del Signore e noi siamo qui a preparare la strada a Lui”.
Nel 1960, il missionario si trova fra le mani un po’ di soldi. Suo papà, morendo, gli ha lasciato mezzo milione di lire, in India con tale somma si poteva fare molto. Cosa fare di questi soldi? Andare in città e metterli in banca al 13% di interesse annuo? Ma Augusto riapre il Vangelo e legge: “Voi che avete dato pane agli affamati, venite al mio banchetto e rimanete con me per tutta l’eternità”. Così, invece di mettere i soldi in banca, prende due decisioni: costruisce scuole nei villaggi e si accorda con una congregazione femminile ottenendo tre suore per lavorare fra le donne dei villaggi, con un discreto stipendio e mantenimento assicurato dalla missione. Molte donne incominciano a lavorare per la missione e ricevono un piccolo stipendio. Cosi dall’India partono, diretti in Italia, vari oggetti di artigianato e, in seguito, tovaglie ricamate a mano, merletti per lenzuola, ecc.
Padre Colombo si dedica all’evangelizzazione visitando personalmente i villaggi e attraverso catechisti da lui stesso formati e fonda scuole tra i fuori casta, che allora ne erano totalmente privi. Già a sei-sette anni i bambini lavoravano, a scuola non potevano venire. Nel mio primo viaggio in India (1964), Augusto mi spiegava di aver fatto un patto con le famiglie dei villaggi che visitava, cristiane e non cristiane: “Se voi mandate i vostri ragazzi a scuola, io vi do quello che essi potrebbero guadagnare andando a lavorare, comprerò loro il vestitino, il quaderno e quanto è necessario per la scuola.
Una volta al mese, nella sede della missione a Khammam, i genitori venivano a ritirare la piccola somma di denaro e il sacchetto con il necessario per mantenere il ragazzino nel mese seguente. Però Augusto non si fidava di maestri e i catechisti che mandava a controllare le presenze a scuola. L’ho accompagnato in moto, per una giornata intera, nella visita dei villaggi scolarizzati. Il maestro c’era, ma i bambini spesso non erano in numero sufficiente. Apriva il suo quaderno e faceva l’appello, segnando quelli che non c’erano. Quando poi i genitori andavano a ritirare il riso e il denaro, erano dolori! Perché Augusto aveva il carisma del leader e sapeva come farsi obbedire. Una sua ramanzina bruciava sulla pelle di quella povera gente che temevano di perdere i favori del missionario. A me poi diceva: “Non capiscono ancora che lo faccio per il bene dei loro bambini. Se non vengono a scuola restano miserabili, debbo ottenere in ogni modo che ci vengano davvero”.
Raccontava che, quando andava dalle autorità dello stato di Andhra ad avvisare che costruiva e finanziava scuole nei villaggi dei paria, si sentiva dire: “Li lasci perdere, stanno bene così come sono. Per loro la scuola è inutile”. Invece la storia ha dimostrato che da quelle prime scuolette di fango e paglia è iniziato il cammino di redenzione sociale del popolo dalit (fuori casta).
La “Lodi Farm” premiata dal Governo indiano
L’ inizio della vita missionaria di Augusto è caratterizzato da frequenti trasferimenti decisi dal vescovo, quattro missioni diverse nei primi 16 anni di vita missionaria. Non perché non si adattasse alle varie situazioni, ma perché le sue eccezionali capacità l’avevano subito segnalato al vescovo come uomo che poteva risolvere problemi difficili e realizzare qualcosa di nuovo nella diocesi di Warangal. Come infatti è avvenuto, in una misura fuori del normale, come vedremo.
Dopo due anni a Bayyaram (1952-1953), poi a Produtturu (1953-1958) e a Banigandlapadu dove rimane sei anni (1958-1962); infine è parroco a Khammam, dove con varie opere dà alla parrocchia una dimensione di centro diocesano; anzi, negli anni sessanta ha la lungimiranza di acquistare 100 acri di terreno (circa 45 ettari) a Nayudupet, dove ora c’è la sede principale della diocesi e numerose opere diocesane.
A Khammam, padre Colombo inizia la “Lodi Farm”, che col tempo diventerà un’impresa sociale di notevole ampiezza. Nel gennaio 1965 un ingegnere milanese membro del direttivo di Mani Tese3, Gianfranco Stella e la gentile signora, visitano l’India. Augusto e il confratello padre Carlo Radice li portano in moto in alcuni villaggi della missione, dove si rendono conto dei terreni sassosi e delle coltivazioni primitive e stentate. I villaggi sono un ammasso di capanne di fango e la gente trasuda povertà e carestia. Il distretto di Khammam è esteso 18.000 kmq. nella zona più arida e rocciosa dello stato di Andhra Pradesh.
Stella e Colombo giungono ad una decisione: impiantare una fattoria modello che mostri le nuove tecniche e colture e sia di guida agli agricoltori del posto. Stella si assume l’onere finanziario, Augusto promette di realizzare il progetto, che viene reclamizzato in Italia e si raccolgono i primi aiuti. All’inizio si pensava a 10 ettari, estensione troppo piccola e non economica se meccanizzata; troppo grande se non meccanizzata. Così, si acquistano in cinque anni cinquanta ettari!
Il 13 Maggio 1965 il dott. Antonio Allegri, presidente del “Comitato contro la fame nel mondo” di Lodi scrive a Colombo che il Comitato, a nome della città e della diocesi di Lodi, ha raccolto la proposta di Mani Tese di assumersi la responsabilità di realizzare a Khammam il “Podere modello” della “Micro 81”. Augusto registra subito presso il Governo indiano una società a scopo umanitario, la “Lodi Multiporpose Social Welfare Society”, alla quale vengono intestati i 50 ettari acquistati, un terreno poverissimo, abbandonato da decenni, costellato da massi rocciosi, sulla riva del fiume Manair che lambisce l’abitato di Khammam.
La Lodi Farm è stata la prima opera sociale di una certa importanza che padre Augusto ha realizzato e si è impegnato personalmente tenendo conto scrupoloso di tutti i lavori e le spese fatte. Fino al dicembre 1969 era direttore dell’azienda agricola e aveva con sè un maestro, intelligente e di buon senso, ma che di lavori agricoli non sapeva quasi nulla, come Augusto del resto! Nei primi anni la fattoria era passiva. Arriva al pareggio e poi diventa attiva quando Colombo ritorna in Italia per problemi di salute e per un periodo di studi. Lo sostituisce fratel Luigi Crippa, gran lavoratore e uomo pratico anche di agricoltura, che va ad abitare sul posto e si impegna totalmente e abita sul posto nella fattoria-scuola. La “Lodi Farm” insegna tecniche nuove e sperimenta colture sconosciute in India, ad esempio, il “riso del miracolo” che produceva 5-6 volte più che il riso indiano e per questo ha ricevuto un premio dal Governo.
Nel 1990 la “Lodi Society” è stata riconosciuta dal Governo come agenzia ufficiale della diocesi di Warangal per il lavoro sociale ed ha esteso il suo interesse a tutti gli altri settori dell’impegno diocesano di promozione umana.
II) Anche i paria vanno all’Università
Nel 1972 padre Augusto è nominato parroco di Ghanpur, dove riparte da zero per fondare una nuova missione e si dedica soprattutto al ministero sacerdotale, visitando i villaggi e costruendovi nuove scuole e cappelle. Quando lascia la parrocchia nel 1985, vi erano 23 villaggi cattolici con 3.700 fedeli su circa mezzo milione di indiani. Nel Natale 1981 scrive4 che a Ghanpur ha tre progetti di promozione umana:
1) Il primo è la prevenzione e cura della lebbra nella città di Warangal. Con il sostegno degli “Amici dei Lebbrosi” di Bologna, cinque suore, un dottore, sei paramedici, un fisioterapista e un esperto di laboratorio hanno “setacciato, casa per casa, i primi sei quartieri della città di 400.000 abitanti e sono saltati fuori 900 lebbrosi su 70.000 persone esaminate. La maggioranza di questi casi sono ancora ai primi stadi, non ancora deformi e spesso ignari della lebbra. Con una cura intensa di 6-12 mesi vengono completamente guariti. Abbiamo però più di un centinaio di “lebbrosi” classici. Per molti di costoro il ricovero in ospedale e l’isolamento sono imperativi. Ma finora l’ospedale è ancora nella sua fase iniziale. Noi siamo solo piccole pedine nelle mani della Provvidenza”.
2) Il secondo progetto è di addestrare le donne fuori casta a ricamare, dando loro un lavoro continuato, progetto iniziato a Ghanpur nel 1973 quando, nel terzo anno di siccità, la gente era alla disperazione e alla fame vera. Augusto chiede alle suore di insegnare alla donne a fare gli orli ai fazzoletti e alle tovaglie, a ricamare le federe e le lenzuola, ma questa produzione artigianale non trova mercato in India e tanto meno in Italia. Allora, ricorre agli amici di Cantù, chiedendo di mandare l’occorrente (tombolo, fuselli, rocchetti di filo) per fare in India i ricami e i merletti prodotti nella sua città natale. Ma dopo la produzione ci vuole la vendita. In questa iniziativa collaborano l’associazione “Civiltà Canturina” e la Parrocchia di San Michele a Cantù, che si impegnano a smerciare i prodotti. Nel 1981 nella parrocchia di Ghanpur c’erano 700 ricamatrici e Augusto scrive5:
“Settecento famiglie che mangiano regolarmente perchè noi diamo loro lavoro. Dare da mangiare agli affamati è la testimonianza cristiana più evidente, capita al volo non solo dagli istruiti, ma pure dagli analfabeti. Un’impresa simile deve sciogliere una vera caterva di difficoltà ogni giorno, tecniche, finanziarie, burocratiche, ma siccome siamo impostati per fare del bene duraturo a tanta povera gente, anche le difficoltà non spaventano”.
3) Il terzo progetto è la costruzione di casette in muratura per i poveri, al ritmo di venti all’anno. Mani Tese è l’organismo che maggiormente aiuta, ma “ci vorrebbero ogni anno 2000 casette (che negli anni ottanta costano un milione di lire l’una) per incidere sul problema edilizio”. Inoltre, “con l’aiuto della solita America”, nel,’ anno di siccità 1981 la parrocchia di Ghanpur scava 50 pozzi nei villaggi e assiste “3.500 bambini molto poveri assieme alle relative mamme in 60 villaggi”.
Direttore delle opere sociali della diocesi di Warangal (1985)
Queste molteplici e valide attività che riescono ad essere autosufficienti con aiuti dall’estero (cioè senza chiedere nulla alla diocesi) sono un risultato straordinario. Inoltre Augusto prende una iniziativa affatto nuova nella diocesi di Warangal. All’inizio degli anni ottanta stava potenzia il lavoro delle donne indiane per l’esportazione: ricami, merletti, tuniche in cotone con disegni indiani, scialli di seta o di lana di Kashmir. Nel 1975 viene a Ghanpur la signorina Franca Pallini di Monza (poi Anna Arnaboldi e da altre di Cantù), che insegna l’arte del ricamo alle donne indiane, ma si rende conto che, per esportare in Italia e negli Stati Uniti, bisogna inventare una quantità di modelli grafici e artistici indiani. In India ci sono pochi artisti e nessuno andrebbe in un villaggio rurale come Ghanpur. Augusto pensa alla Beato Angelico di Milano e ottiene che mandino Giuseppe Clerici: in un anno ha insegnato il disegno a 40 ragazzi, alcuni dei quali ancora curano la parte artistica dei ricami e delle foglie, i modelli per le stoffe, le tuniche, le tovaglie e tovaglioli, ecc.
All’inizio degli anni ottanta, nella diocesi di Warangal padre Colombo emerge come geniale ed energico realizzatore di opere sociali. Nel marzo 1985 mons. Beretta divide la parrocchia di Ghanpur assegnando ad un sacerdote locale la parte già costituita e nominando parroco Augusto della nuova parrocchia di Pendial che lui stesso aveva preparato, comperando nel 1977 un vastissimo terreno (150 acri, circa 70 ettari!), in posizione strategica all’incrocio di importanti vie di comunicazione e a sole 15 miglia da Fatimanagar sede della diocesi (alla periferia della città di Warangal). Terreno comprato a prezzo molto basso, anzi quasi regalato perché roccioso e improduttivo in quanto di natura salina. Una località ideale per una nuova parrocchia e per costruirvi un lebbrosario, già funzionante dal 1982. Padre Colombo incomincia subito piantando alberi, specialmente eucaliptus, uno vicino all’altro e ripetendo l‘operazione ad ogni stagione all’inizio dei monsoni. “Penso di essere arrivato a un milione di piante – scrive – delle quali una su dieci è sopravvissuta. Ma anche cento mila piante sono un parco nazionale in Andhra”6.
Il villaggio si chiama Pendial, ma la parrocchia si trova a quattro chilometri di distanza, in una zona isolata, che Augusto chiama Karunapuram, cioè “paese della compassione”, perché c’è l’ospedale per i lebbrosi, la scuola per bambini lebbrosi ed un centro di riabilitazione dei lebbrosi guariti e attorno a queste opere si forma presto il nuovo villaggio. Nei primi tempi c’era tutto da fare ed erano anni di grave siccità. La Provvidenza viene in aiuto attraverso il Governo canadese, che manda alla missione treni carichi di cibo, vestiti, strumenti di lavoro, ecc. Col sistema “food for work” (cibo per lavoro), si trivellano cento pozzi e si provvede acqua da bere ai villaggi, dove tutti i vecchi pozzi sono seccati. L’operazione si svolge in cinque mesi, dal dicembre 1984 al maggio 1985.
Nel 1985 mons. Beretta nomina padre Colombo direttore delle opere sociali della diocesi e la sua prima decisione è di moltiplicare le scuole di ogni genere in tutta la diocesi e lui stesso ne dà l’esempio. Quando nel 1985 arriva a Pendial e fonda Karunapuram, attorno alle opere della missione vengono molte famiglie e vicino all’ospedale sono subito sorte la scuola elementare, due scuole medie, due superiori e due pensionati per studenti e studentesse che abitano in altri villaggi; più la scuola per i bambini lebbrosi e quella per i sordomuti. Nel 2003 scrive7: “Quando iniziai questo centro di Karunapuram quindici anni fa con la costruzione dell’ospedale-lebbrosario in una zona deserta, prevedevo al massimo una piccola comunità di una ventina di famiglie, più le suore e qualche lebbroso guarito. Ora invece abbiano più di 200 famiglie e gli studenti sono più di mille”.
Karunapuram significa “paese della compassione” ed entrando nel villaggio si vede dapprima questa scritta con l’ospedale-lebbrosario e le opere di assistenza e di riabilitazione per i lebbrosi e altre persone bisognose. Ma poco dopo la segnaletica stradale dice: “Vidya Niketan” (Sedes Sapientiae), cioè “paese delle scuole”. La crescita delle strutture scolastiche è stata rapidissima, perché queste nuove scuole della missione, dirette dalle suore attirano e attira subito studenti anche da scuole statali. Ma Augusto si preoccupa di come assicurare un futuro a questi studenti e scrive8: “Non sarà facile trovare un posto all’Università per questi giovani paria, ma fra un anno o due cominceremo qui a Karunapuram il primo anno universitario per lettere, scienze, economia e commercio”.
Karunapuram, il paese della compassione
A Karunapuram Augusto, oltre al lavoro pastorale, sviluppa l’opera di riabilitazione dei lebbrosi, guarendoli dal male con il lavoro. Il lebbrosario di Pendial, tenuto dalle suore, guarisce i lebbrosi, specialmente giovani e presi a tempo, e padre Augusto inventa per loro l’allevamento dei bachi da seta e la produzione del filato di seta greggia. Nel novembre 1984 aveva già iniziato una coltivazione intensiva di gelsi e raddoppia l’area coltivata, da cui viene la produzione di bozzoli. “E’ un’attività che richiede un impiego molto forte di mano d’opera e assicura una paga decente”. All’inizio i lavoratori erano otto, nel 2005 un centinaio. Per dare ai lebbrosi un lavoro, in seguito nascono laboratori per la fabbricazione di candele, tessitura, pittura e vari lavori artigianali.
A Karunapuram continuano anche le altre attività di promozione umana, specialmente la produzione di ricami e merletti che dà lavoro stipendiato a più di 1.500 persone. Un’altra realizzazione è il Centro oculistico di Fatimanagar, nato nel 1987. In India i ciechi sono un esercito, si calcola che siano circa cinque milioni su un miliardo e 50.000 indiani. Con l’aiuto di oculisti italiani Colombo ha costruito e attrezzato un centro specialistico per i ciechi. Nel gennaio di ogni anno, il primario oculista dell’ospedale Valduce di Como prof. Innocente Figini e un certo numero di collaboratori vanno in India a lavorare per 10 giorni, si può dire giorno e notte, operando i casi più difficili; e hanno formato un giovane medico indiano che due giorni la settimana visita e opera i casi più semplici. Operazioni e cure gratuite (circa un migliaio all’anno) “per i ciechi presi dai quartieri poveri di Warangal e dai villaggi, che non hanno alcuna possibilità di essere curati”.
Padre Augusto era un vulcano sempre in eruzione, ne inventava una dopo l’altra. Quando sono andato a trovarlo nel febbraio 2005 (aveva 78 anni) mi ha portato a visitare quanto non avevo visto nella precedente visita in India e mi parlava di quel che progettava di realizzare nel campo dell’educazione e promozione umana. A 78 anni, e con tante opere da seguire e da finanziare, non smetteva di sognare e pensava al futuro, quel che aveva fatto in passato non gli bastava. Un segno autentico di giovinezza dello spirito.
Il suo impegno per aiutare i poveri è stato veramente eccezionale e multiforme, ma la sua attività principale è sempre rimasta la scuola, l’educazione. Nel 1999, quando in Italia e nei paesi ricchi si discuteva di rimettere il debito estero ai paesi africani e asiatici, Augusto (che leggeva la stampa italiana e internazionale) scriveva ai “genitori adottivi” dei suoi bambini9:“Bisogna capire che il fattore basilare dello sviluppo di una nazione non sono l‘abbondanza dei beni e dei soldi, ma l’educazione della gioventù. Questo il primo passo per lo sviluppo dei paesi poveri”.
Dopo aver iniziato l’educazione dei paria partendo dalle elementari e poi scuole medie e superiori, si accorge che a questi giovani fuori casta è quasi impossibile entrare nelle Università statali e in un’intervista al quotidiano cattolico “Avvenire” spiega perché, nell’India delle caste, l’impegno primario della Chiesa cattolica resta la scuola10: “Formalmente i ragazzi dalit (paria) possono andare nelle scuole governative, ma la vita per loro è difficilissima e comunque al primo esame di stato, dopo dieci anni di studio, la bocciatura è certa”11.
“La soluzione è una sola — ha detto Augusto al vescovo — Le scuole dobbiamo farcele noi”. Con l’incoraggiamento di mons. Beretta parte la costruzione di scuole medie, licei e addirittura la prima Università di lettere, scienze naturali, economia e commercio aperta ai paria che dimostrano capacità e buona volontà. Nel maggio 1997 sono usciti da questo Ateneo di Warangal i primi laureati. Ma intanto Augusto mirava da anni a iniziare anche l’Università di ingegneria e nel Natale 1998 scrive12: “Nell’agosto scorso siamo riusciti ad ottenere dal governo l’approvazione della nostra Università di ingegneria con varie facoltà. Siccome in India tutte le Università scientifiche sono a numero chiuso, è praticamente impossibile far ammettere un nostro studente nelle statali o private. Ora invece abbiamo la nostra Università diocesana e metà dei posti sono riservati ai nostri ragazzi, l’altra metà è aperta a tutti, non esclusi i nostri ragazzi»
In una lettera del dicembre 1999 scrive che l’Università di Ingegneria è ancora nella sede provvisoria di Karunapuram, ma nel 2000 ripartirà nella nuova e definitiva sede di Yesantapuram. E aggiunge13: ”La nostra Università è importante anzitutto perchè diamo lauree in Ingegneria, una delle professioni più ambite qui in India, ma anche nel fatto che abbiamo ottenuto dal Governo il privilegio di riservare metà di queste lauree per i nostri giovani cattolici (paria) che vengono dai villaggi. Fino a qualche anno fa non riuscivano ad arrivare nemmeno alla scuola superiore, ora ne sono entrati nella nostra Università quasi trecento e abbiamo sfornato qualche decina di professori di lettere e scienze. Fra due anni avremo i primi ingegneri e operatori di computer…. Prima o poi, con l’aiuto di questi laureati lo sviluppo arriverà anche nei loro villaggi e almeno a Warangal, la capitale del distretto che ha un milione di abitanti, ma che non ha ancora una benché piccola industria degna di tale nome…. Siccome non c’è industria, tutti si danno al commercio”.
In questo panorama da paese in via di sviluppo, il Centro che addestra alla produzione di oggetti d’artigianato “è l’unico progetto che funziona da un paio di decenni e dà lavoro a qualche migliaio di persone”. I giovani e le ragazze imparano ricamo, pittura, merletto, sericultura. Questa scuola di artigianato serve anche alla riabilitazione di lebbrosi guariti e handicappati. Imparano e trovano un lavoro produttivo anche persone che “hanno solo due dita oppure sono senza gambe o poliomielitici”. Le lettera di Augusto del Natale 1999, che ho citato e riassunto, fa quasi un bilancio delle attività sociali ancora attive. Ad esempio, la costruzione di casette di due stanze con veranda in mattoni e cemento, più i servizi igienici attaccati (costo due milioni di lire ciascuna) continua al ritmo di trenta casette l’anno, “un numero limitato solo dalla mancanza di altri fondi”. La lettera termina ricordando la prossima celebrazione del 50° di sacerdozio di padre Augusto Colombo nel 2000.
Vidya Niketan, il paese delle scuole
Il 29 settembre 2000, dopo cinque anni d’insegnamento e di lavori, partecipa all’inaugurazione della nuova sede dell’Università di Ingegneria a Yesantapuram, a pochi chilometri da Karunapuram, alla presenza di numerose autorità civili e religiose. All’inizio c‘erano quasi solo i tre palazzi della facoltà universitaria e alcuni ostelli per gli studenti, quando l’ho visitata nel febbraio 2005 era già un grosso villaggio di circa 1.500 abitanti, oggi sono più di 3.000. Le autorità civili hanno alla località il nome di “Colombo Nagar”, la città di Colombo, con tanto di insegna sulla grande strada regionale da Warangal ad Hyderabad. Nel dicembre 2000 Augusto scriveva14:
“Con questa inaugurazione l’Università ha trovato una sistemazione definitiva, anche se i lavori di costruzione sono completati solo per un quarto. I restanti tre quarti delle costruzioni sono nelle mani della Provvidenza e vostre. L’anno prossimo si sforneranno i primi ingegneri meccanici, elettronici ed informatici. Chi avrebbe mai potuto pensare ad un’opera simile non dico 50 anni, ma anche solo 10 anni fa? E’ proprio vero che l’uomo propone e Dio dispone”.
L’importanza di avere una Università cattolica di Ingegneria aperta ai fuori casta e alle basse caste è facilmente comprensibile anche al lettore italiano. Ma nel panorama dell’India è un fatto rivoluzionario, ne parlano i giornali e la televisione: i circa 150 milioni di paria e gli 80 milioni di appartenenti alle basse caste dell’induismo arrivano finalmente alla professione che è alla base del fantastico sviluppo economico che il grande paese-continente ha avuto negli ultimi vent’anni (una crescita del Pil del 6-7% l’anno). Questo balzo in avanti di una moltitudine di uomini e donne, che fino a 40-50 anni fa erano praticamente i servi della maggioranza indù, avviene non per iniziativa dello Stato o del Governo, ma della minuscola Chiesa cattolica che rappresenta solo il due per cento del miliardo e 50 milioni di indiani. E’ un fatto che fa discutere e suscita reazioni positive ma anche negative, contribuisce ad aumentare la stima, ma anche l’avversione per il cristianesimo e i missionari: le loro iniziative sociali ed educative scuotono le masse dei lavoratori della terra, che prendono coscienza della loro miserie e cominciano ad alzare la testa e avanzare pretese. Le persecuzioni contro i cristiani in varie parti dell’India vengono anche da queste iniziative per elevare
gli ultimi del popolo indiano.
Negli ultimi anni di vita padre Augusto Colombo, che è sempre vissuto correndo, c’è una imprevista accelerazione. Nel 2004, solo quattro anni dopo l’inaugurazione dell’Università di Ingegneria, ancora la Provvidenza gli manda “un’occasione incredibile”, come lui stesso scrive15:
“Una bellissima notizia: la Provvidenza mi ha mandato un’occasione incredibile. Ci ha messo nelle mani una Università di Medicina. Tra qualche anno potremo laureare medici anche i nostri bambini e bambine.Ecco in sintesi. Da diversi anni, cioè dopo d’aver messo in piedi l’Università di Ingegneria, ogni tanto mi veniva la fantasia di iniziarne una di Medicina, ma solo ad accennare a tale fantasia, si rideva come per una barzelletta. L’Università di Medicina richiede, oltre alle strutture per le facoltà mediche, anche un ospedale di almeno trecento letti. Difficile persino da sognare. Dieci giorni fa accadde il miracolo. Vennero ad offrirci una Università di Medicina e proprio a Warangal. Costruzioni finite all’ottanta per cento, ospedale già funzionante e in attesa del permesso del governo per ammettere i primi cento studenti. Così ci siamo cascati. Abbiamo concluso il contratto di compera e già stiamo facendoci in quattro per mettere in moto il carrozzone. Che il Signore ce la mandi buona”.
“Naturalmente la bellissima notizia si abbina con una bruttissima. Non è stato un regalo ma un acquisto e per comperare ci vogliono i soldi. Tanti soldi. Non avendoli, ne siamo andati disperatamente alla ricerca, dato che bisogna pagarli entro quattro mesi. Data la scadenza di tempo per pagare la prima rata, non abbiamo nemmeno potuto chiederli a voi, ma alla banca. Il primo milione di Euro lo abbiamo avuto ipotecando i campi da gioco della nostra scuola e….la Cattedrale. Non ridete. La nostra Cattedrale non è il Duomo di Milano, quindi anche la banca ci è cascata. Ma non è finita e presto ci saranno da pagare altri milioni di Euro, non di Lire.
“Qualcuno avrà già scosso la testa o si sarà messo le mani nei capelli. Non disperatevi, non chiediamo un milione di Euro, ma solo ad un milione di persone l’aiuto di un Euro. Certo non è facile raggiungere un milione di persone. Però la Provvidenza può. E così ci aspettano giorni di gioia pasquale e di patemi d’animo. Ma cosa non faremmo per i nostri, per i vostri bambini? Quest’anno la Pasqua la facciamo così, piena di gioia e di apprensione. Ma è bello, ogni tanto, sfidare la Provvidenza. Solo che questa non è una sfida, ma un atto di completa fiducia”.
Pochi mesi dopo, Augusto informa gli amici che l’avventura dell’Università di Medicina fa passare delle notti difficili a lui e alla diocesi di Warangal, ma c’è la speranza di riuscire nell’impresa che “nessuno avrebbe mai nemmeno sognato”. L’occasione è venuta da una cooperativa di medici che vi lavoravano da cinque anni, ma non avevano più la forza ed i mezzi necessari per affrontare le ultime ispezioni del Governo, per dare l’approvazione dell’Università e poter ammettere gli studenti. La diocesi di Warangal ha preso il loro posto, con l’impegno di pagare tutti i prestiti fatti per le costruzioni e per affrontare le ispezioni governative. E aggiunge16:
”Queste ispezioni governative si sono rivelate un vero incubo, quasi una camera di tortura. Ma ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare. Speriamo solo che il nuovo anno ci porti l’inizio anche di questa meravigliosa impresa. Nel gruppo sociale fra il quale lavoriamo, cioè tra i fuori casta, finora non ci sono ancora medici perché l’ammissione all’Università di Medicina non era possibile. Ma se riusciamo a far partire la nostra Università, allora fra cinque anni avremo dei medici anche tra i nostri giovani”.
Per capire l’importanza dell’Università cattolica di Medicina a Warangal in India, bisogna ricordare che ne esiste solo un’altra a Bangalore. Ma fino all’inizio del 2010 il permesso del governo non è arrivato: l’ospedale funziona, con tre congregazioni di suore che dirigono i vari reparti, ma l’Università, con gli edifici di studio e gli ostelli pronti per ospitare gli studenti, non è ancora incominciata!
III) Un autentico missionario di Cristo
Nel febbraio 2005 sono stato tre giorni con padre Augusto a Fatimanagar ed a Karunapuram, visitando con lui o con il suo autista le sue opere e alcuni villaggi cristiani della parrocchia. Avevo l’intenzione di intervistarlo a lungo, ma ho visto che è quasi impossibile sedersi e parlare con calma. Si scusava, ma era continuamente chiamato per telefono o di persona, venivano suoi dipendenti a chiedergli qualcosa, lui stesso saltava di qui e di là per accogliere, controllare, parlare con qualcuno. La prima notizia della sua morte, il 31 dicembre 2009, l’ho avuta da padre Carlo Torriani missionario del Pime in India dal 1969, che in poche parole ha riassunto la sua vita: “A 82 anni è morto com’è sempre vissuto. Di corsa”.
Una vita di corsa con sei by pass al cuore
Padre Colombo ha realizzato una mole immensa di lavori. Lavorava molto ed era organizzato, metodico, severo con se stesso. Sapeva risparmiare il tempo. Quand’ero con lui, anche a tavola, mi portavo sempre il registratore e approfittavo di ogni momento per registrare qualche spezzone di riposta alle mie domande. Ricordo le colazioni, i pranzi e le cene che abbiamo fatto assieme nel 2005 a Fatimanagar. Mangiava poco e sempre uguale, si faceva preparare non ricordo che tipo di cibo diverso da quello dei suoi ospiti (molto più vario), ma gustava poco i piaceri della tavola: ogni volta che si sedeva a tavola per mangiare, gli portavano un piatto unico con riso e qualcosa d’altro. Poi un frutto chiudeva il pranzo o la cena. “Ho capito che se vuoi resistere devi importi una disciplina” diceva. Aveva sempre avuto “una salute di ferro” come scriveva in parecchie lettere e nel 2002 una confessione17:
“La salute tiene bene, dopo lo sconquasso del 1999,e ora a 75 anni suonati mi permette di fare ancora un giorno e poi anche metà notte di lavoro.Vedrò di tirare i freni, ma quando c’è olio sui cerchi anche i freni non tengono”.
La sorella suor Angela mi dice18: “Augusto era sano, ma ha avuto 12-14 operazioni chirurgiche e nel 1999 è stato ospitalizzato a Milano per un’operazione di cancro alla prostata, ma prima di operarlo hanno controllato il cuore e hanno visto che era malandato. L’hanno operato e gli hanno messo sei by-pass al cuore. In seguito mi diceva che il cuore gli dava spesso fastidio e poi è morto di infarto al cuore”.Per dieci anni ha continuato a lavorare, a volte anche con affanno per il suo cuore che palpitava troppo forte; aveva anche altri mali, ma non ne parlava e non li mostrava. Nei suoi ultimi anni non camminava bene per male al menisco e alle anche. Da anni avrebbe dovuto essere operato, ma non trovava mai il tempo di sottomettersi a questa nuova prova e sofferenza. Nel Natale 2008, pochi mesi prima della morte, scrive19:
“Quest’anno passato sono stato in Italia ben tre mesi, ma non sono riuscito ad incontrare alcuni di voi e non per mia cattiva volontà… Come già sapete, venni in Italia per farmi operare alle ginocchia e alle anche, ma ebbi la fortuna di mettermi nelle mani del vice-primario dell’ospedale Galeazzi che, viste la mia età e le mie condizioni di mobilità e di attività, mi consigliò di tenermi alla larga dagli ospedali e tornare a fargli visita fra una decina d’anni, quando magari sarò in carrozzina e con tutti i miei progetti ormai ultimati. Ora vedo che il consiglio è stato molto assennato.
La sorella suor Angela dice che20, prima dell’operazione il cuore di Augusto è in condizioni difficili e il vice-primario lo sconsiglia di fare un’operazione, che forse non avrebbe sopportato. La sorella suor Angela aggiunge: “Non mi immagino davvero l’Augusto in carrozzella! Il Signore l’ha preso prima”.
Quando l’ho visitato l’ultima volta, dopo aver visto le molte opere e parrocchie costruite e l’impegno particolarmente costoso per l’Università di Medicina, gli chiedo: “Ma tu, con tutti questi mutui con le banche e le notevoli spese di manutenzione e di funzionamento delle tue opere che hai ogni mese, riesci a dormire tranquillo?”. Ride e mi dice: “Le opere non sono mie ma della diocesi. Fin dall’inizio ho fatto tutto in accordo col vescovo e a nome del vescovo e ho sempre avuto l’unica e retta intenzione di essere utile agli ultimi della società indiana e alla diffusione del Vangelo. Quindi nulla appartiene a me o al Pime, tutto è della diocesi e chi firma gli impegni finanziari è la diocesi. Io ho solo l‘impegno di organizzare i lavori, cercare e curare i benefattori, il resto lo fa la Provvidenza. Quindi dormo tranquillo. Momenti difficili ce ne sono stati e ce ne saranno ancora, ma la Provvidenza c’è sempre”.
Nel 2008 in Italia gli ho rivolto la stessa domanda. Ecco come ha risposto21:
“Ho sempre lavorato in piena consonanza e obbedienza al vescovo locale. Tutti i terreni, edifici, attività, scuole, Università, strutture sanitarie, aziende di produzione e vendita sono proprietà della diocesi e tutto è registrato dal Governo. Ho organizzato bene a Karunapuram il mio Ufficio adozioni e nei Centri missionari del Pime di Detroit, Milano e Napoli ho circa 15.000 adozioni a distanza: teniamo registrato ogni bambino, avvisiamo quando quando cambia o finisce la scuola. Poi mi dò molto da fare per informare e ringraziare i benefattori in Italia e Stati Uniti, ma soprattutto mi sono sempre fidato della Provvidenza. Io inizio e porto avanti le varie attività, trovo i finanziamenti, ma la gestione delle opere e le firme in banca le hanno l’amministratore diocesano e il vescovo. Non ho nessuna responsabilità personale di fronte alle leggi dell’India. Dormo tranquillo anche se a volte abbiamo anche notevoli passivi”.
Le pareti della Cattedrale illustrano la Storia Sacra
Augusto era un uomo di fede e di preghiera, risultava evidente anche da tutta la sua vita di donazione totale alla causa del Vangelo e dell’umanità più povera, ma parlava poco di questo. “Aveva il pudore dei suoi sentimenti”, dice la sorella suor Angela. Anche nelle sue circolari (un foglio A4 denso di notizie su due facciate) i riferimenti alla preghiera e alla fede sono pochi, ma cita spesso “la Provvidenza”. Ha realizzato molto anche pastoralmente ed è morto da parroco a 82 anni. Nei tre giorni di convivenza a Karunapuram, una domenica mi ha portato in un villaggio con la cappella in muratura abbastanza grande, ma insufficiente per tutti i fedeli.
Era la festa del villaggio e poi, dopo la S. Messa, c’era l’esame di catechismo per i 30-40 bambini della prima Comunione, che faceva Augusto stesso.
Io concelebravo e scattavo qualche foto (la Messa era in telegu, ma leggevo il Messale in inglese) e non capivo nulla di quel che l’amico parroco diceva. Però mi commuovo ancora pensando a quella chiesetta stipata di adulti e bambini e ad Augusto che percorreva avanti e indietro lo stretto corridoio lasciato libero al centro. Parlava dopo il Vangelo e doveva dire cose interessanti e originali, perchè quella brava gente reagiva, accennava a ridere ed a battere le mani. Li vedevo tutti in volto e capivo che partecipavano, condividevano quel che lui diceva. Poi gli ho chiesto come mai quel chiaro interesse per una predica (ben difficile in Italia!) e mi risponde: “Questo popolo è ancora molto semplice. Vent’anni fa erano pagani, oggi capiscono la bellezza e la gioia di essere cristiani e poi io racconto loro cose nuove, con il loro linguaggio popolare. A volte ridono perché uso parole e modi di dire o proverbi che sono veramente popolari, popolareschi, dialettali, così mi sentono uno di loro”.
Ne sono rimasto ammirato e ho toccato con mano che, oltre ad essere un geniale manager, Augusto era anche un buon parroco. Questo poi l’ho capito ancor più a Karunapuram visitando con lui la chiesa parrocchiale, la “Cattedrale”, e merita davvero questa qualifica: è il santuario del Bambino Gesù e chiesa parrocchiale di Karunapuram. Aveva iniziato la costruzione nel 1993, al posto della chiesetta iniziale capace di 200 fedeli22, mentre la nuova chiesa ne contiene 3.00023. Con un’ampia navata entrale e due laterali e una cupola maestosa, ha davvero l’imponenza di una Cattedrale. Ci vollero tre anni per realizzare in ferro, cemento e mattoni quello che era stato faticosamente ideato da ingegneri ed architetti italiani, lavoratori indiani, ed il capo mastro padre Augusto, che il 3 Novembre 1996, alla solenne consacrazione della chiesa, può finalmente veder realizzato il suo sogno.
Sono rimasto ammirato dalleQQ pareti affrescate da un pittore indiano con scene dalla Creazione a Cristo, e lunghe scritte esplicative in lingua telegu. Una specie di Storia Sacra illustrata in 35-40 quadri grandi e piccoli, con dipinti colorati di stile indiano, che richiamano quelli dei templi indù. Un catechismo illustrato in stile popolare che racconta la storia della salvezza, le parabole, i miracoli e la vita di Gesù.
“In una zona povera come la nostra – diceva Augusto – queste decine di immagini con scritte in telegu attirano, e vengono anche parecchi non cristiani.Chi c’è stato racconta poi la visita nel suo villaggio, si diffonde la voce e vengono anche gruppi di visitatori e alunni delle scuole cattoliche e statali, perché questo è uno spettacolo che piace e attira. Sta diventando famoso in questa regione”.
Anche la “Cattedrale” di Karunapuram è simbolica dello spirito missionario di padre Colombo. Quando inizia a fondare la sua nuova e ultima parrocchia nel 1985, trova solo poche decine di cristiani, che poi aumenteranno rapidamente., ma all’inizio costruisce una semplice cappella e si impegna a fondo per promuovere umanamente i suoi fuori casta, costruendo scuole fino all’Università e tante altre provvidenze sociali. Undici anni dopo, nel 1996, la sua nuova chiesa non è più una “Cattedrale nel deserto”, ma é un maetoso e accogliente luogo sacro che si riempie di giovani animati da un ideale; é una chiesa perno di un grande complesso di strutture educative e caritative, che realizzano il sogno della rinascita umana e sociale degli intoccabili nella zona di Warangal.
“Se il Signore mi chiama sono pronto”
Padre Colombo si è impegnato molto in campo pastorale. Ha fondato con altri confratelli tre parrocchie nell’attuale diocesi di Khammam: la stessa Khammam, Banigandlapadu e Suryapet; e in seguito altre due nella diocesi di Warangal: Ghanpur e Pendial-Karunapuram. Era un uomo di grandi risorse. Ha composto e disegnato i catechismi per le varie classi di bambini e i testi di spiegazione per i catechisti. Disegni naif molto semplici che illustrano un fatto biblico o evangelico, con una spiegazione in telegu scritta a mano in caratteri grossi: i bambini li colorano, mettono nella pagina accanto i loro pensierini e disegni. Questi quaderni stampati in migliaia di copie sono così pratici e graditi che li hanno adottati anche le altre diocesi di lingua telegu, oltre a quella di Warangal.
Padre Colombo ha vissuto il carisma missionario del Pime secondo la nostra tradizione, riflesso in questa lettera, nella quale egli ricordava i primi tempi del suo apostolato nei villaggi dei fuori casta24.
“Non esistevano strade né elettricità. Si girava di villaggio in villaggio con il carro tirato dai buoi. Una vita randagia, a volte veramente pesante.Ci dedicavamo soprattutto ai fuori casta i quali, benché rappresentassero una fetta consistente della popolazione, erano emarginati. Da noi si sentivano accolti e trattati da uomini, pari a noi. Tra loro iniziarono le prime conversioni. Facendosi cristiani si sentivano rivalutati. Così, nella diocesi di Warangal, in una quindicina d’anni, dalle quattro parrocchie iniziali se ne svilupparono una decina. I miei parrocchiani erano tutti braccianti e analfabeti. Brava gente, ma povera. Sono riconoscente al Signore per avermi chiamato ad essere missionario e mandato a 25 anni a Warangal, proprio quando il cristianesimo esplodeva fra il nostro popolo. Noi missionari eravamo inebriati da questo vento di grazia che gonfiava le vele e di vedere lo Spirito Santo in azione, come negli Atti degli Apostoli. Questo vento portava notizie di conversioni e di battesimi di interi villaggi in ogni punto delle diocesi di Warangal e di Vijayawada. Ci siamo dati completamente alla missione con grandi sacrifici, lavorando tutto l’anno, sempre disponibili alle richieste della gente”.
La vita spirituale di padre Colombo era intensa e lo dimostra il suo distacco dai beni materiali (viveva poveramente senza possedere nulla) e la totale dedizione al prossimo più povero. La sorella maggiore suor Angelina ricorda:
“Augusto era fedele alle sue pratiche di pietà. Quando era a Milano in ospedale nell’estate 1999 per mettere i sei by pass al cuore, andavo a trovarlo tutti i giorni nel pomeriggio. Aspettava la mia visita e poi celebrava la Messa in modo edificante e traeva dalla Messa quell’amore a Cristo che poi riversava sui suoi poveri, lebbrosi, orfani, handicappati. Anche per me le Messe di mio fratello Augusto erano proprio belle e sentite. Secondo me erano tre i punti forza della sua vita spirituale: le fede, la Messa, il suo amore ai poveri e l’abbandono alla volontà di Dio, la fiducia nella Provvidenza. La prima sorella, Angelina, aveva 12 anni di differenza con Augusto, che era particolarmente affezionato a lei e ha tenuto tutta la vita il suo necrologio che ci avevano mandato le sue superiore, in cui c’era scritta la sua frase che aveva detto quando ricevette l’Olio degli Infermi e poi morì poco dopo a 25 anni: “Se al Signore piacerà chiamarmi, sono pronta”. Padre Augusto conservava questo scritto e diceva che ispirava la sua vita a quella frase di Angelina”.
Nel 1974 padre Colombo scrive un lungo articolo, in cui racconta le sue realizzazioni in campo educativo e sociale a favore dei paria. E così conclude25:
- Qualcuno si domanderà come mai un missionario si interessa così tanto di pozzi, case, ricami, cooperative, mentre dovrebbe interessarsi di anime, di chiese, di battesimi, ecc.Cosa volete, il Signore ha fatto l’uomo composto di anima e di corpo e la parte che si vede prima è il corpo e quando voi incontrate folle di gente che hanno un corpo non sviluppato, con uomini adulti …. e sani che pesano 45-50 chili perché non riescono a mangiare tutti i giorni, allora voi vi sentite obbligato a lavorare anzitutto per tirare su questi corpi, anche solo perché siano una sede un po’ meno indecente per le loro anime. Beh!, i teologi troveranno altre giustificazioni più giustificanti, ma per me questo basta.
- Comunque, non crediate che in questi due anni io abbia trascurato le anime dei miei indiani. Con l’aiuto di Dio ho già iniziato tre piccole comunità cristiane, le ho riunite attorno all’altra chiesetta (le tre chiesette le ho costruite tutte nel 1973), che trovano nella fede e nell’amore di Cristo l’ispirazione per una vita dignitosa e laboriosa. Credo che anche come missionario non ho perso il mio tempo. Ed anche scrivendo questa relazione per “Mondo e Missione” credo di non perdere tempo, se il mio scritto muoverà qualche giovane o qualche ragazza a dedicare la sua vita (o almeno qualche anno) al servizio dei fratelli più abbandonati: Se volete essere cristiani, sappiate che questo è il modo migliore per esserlo veramente.
Il funerale un trionfo di popolo
Padre Colombo è morto d’infarto nella notte fra il 30 e il 31 agosto 2009 in Kerala. Il solenne funerale, svoltosi il 3 settembre nella chiesa parrocchiale di Karunapuram (la “Cattedrale” come dice la gente), è stato un vero trionfo di popolo: dalle 40 alle 50.000 persone venute da varie parti della diocesi di Warangal e dello stato dell’Andhra Pradesh hanno dato l’ultimo saluto al missionario che più di tutti, almeno nel Sud dell’India, ha promosso lo sviluppo umano e civile dei fuori casta e delle basse caste indiane. La salma era giunta dal Kerala nel pomeriggio del 2 settembre (dopo l’autopsia) e in tutto il pomeriggio e la notte era vegliata dai fedeli che giungevano anche da lontano. Alle esequie erano presenti tre ministri dello Stato, tre membri del Parlamento, la comunità indù della zona, quattro vescovi e circa 200 tra sacerdoti, religiosi e religiose.
“Il funerale è stata una testimonianza della grandezza di questo umile servo del Signore”, ha dichiarato ad AsiaNews mons. Marampudi Joji, arcivescovo di Hyderabad. “Solo pochi mesi fa, nel maggio di quest’anno – racconta mons. Joji -, avevo passato con lui una decina di giorni a Ooty discutendo del lavoro del Pime nell’Andhra Pradesh. Da quando i padri del Pime sono arrivati in India, nel 1855, hanno portato avanti con dedizione un duro lavoro. Il loro amore e la compassione per la gente ha permesso alla popolazione di vivere con dignità e di prendere coscienza del proprio valore: questo è stato il più grande dono che hanno portato. Hanno sostenuto l’emancipazione dei dalit (paria) e dei lebbrosi portando un cambiamento di vita nelle due fasce sociali più emarginate della popolazione. Padre Colombo parlava in modo sciolto il telugu, la lingua dello Stato, e comunicava con la gente dei villaggi nel loro dialetto. Anche per questo era considerato un membro della comunità a tutti gli effetti, indiano tra gli indiani”. Ricordandone l’opera di missionario ed “il lavoro instancabile per l’emancipazione sociale della popolazione”, l’arcivescovo di Hyderabad afferma: “Oggi i più poveri e gli emarginati nei distretti di Khammam e Warangal, i fuori-casta nel senso letterale del termine, quelli che vivono alla mercè della maggioranza e del volere delle comunità più forti, vivono con dignità e sono autosufficienti”.
Di padre Colombo mons. Joji ricorda che “soprattutto era un santo sacerdote”. “La sua esistenza è stata una testimonianza del Vangelo. La sua vita ed il suo lavoro sono stati lo strumento per portare tanti a servire Dio e le altre persone bisognose. Egli ha amato davvero ed è stato un padre per tantissimi poveri delle campagne. Oggi so di aver perso un caro amico”.
1 Intervistata l’8 gennaio 2010 nella casa delle suore di Maria Bambina a Camparate (Milano).
2 A. Colombo, “A servizio del Regno”, in “Missionari del Pime” gennaio 1999, pag. 3.
3 Associazione fondata dai missionari del Pime e da collaboratori laici nel marzo 1964 al Centro missionario dell’Istituto a Milano, che ebbe subito, quasi per generazione spontanea,un’ampia diffusione in tutta Italia con la nascita di tanti gruppi che ne assumevano il nome e chiedevano “progetti” o “micro-realizzazioni” da finanziare.
4 Lettera circolare agli amici del Natale 1981 da Ghanpur.
5 Lettera circolare agli amici del Natale 1981 da Ghanpur. In altra lettera agli amici del Natale 2005 scrive che in quell’anno, nel periodo della siccità, “duemila famiglie hanno potuto avere almeno un pasto al giorno grazie al ricamo e al merletto”.
6 Lettera circolare agli amici del Natale 2003.
7 Lettera circolare agli amici del Natale 2003 da Karunapuram.
8 Lettera circolare agli amici del Natale 1992.da Karunapuram..
9 “Lettera circolare ai genitori adottivi dei nostri bambini”, 20 marzo 1999.
10 Riccardo Cascioli, “Così riusciamo a farli integrare grazie alla scuola”, in “Avvenire”, 15 aprile 2001.
11 Lettera circolare agli amici del Natale 1990 da Karunapuram.
12 Lettera circolare agli amici del Natale 1998.
13 Lettera circolare agli amici del Natale 1999.
14 Lettera circolare agli amici del Natale 2000.
15 Lettera circolare agli amici della Pasqua 2004
16 Lettera circolare agli amici del Natale 2004.
17 Lettera circolare agli amici di fine anno 2002.
18 Intervistata a Milano il novembre 2010.
19 Lettere circolare agli amici del Natale 2008.
20 Suora di Maria Bambina, intervistata a Milano il 9 gennaio 2010.
21 Vedi “Il Vincolo”, periodico interno per i membri del Pime, gennaio 2010.
22 Lettera circolare agli amici del Natale 1993.
23 Vedi il File “Colombo 38”, 1.18.1 (S5A), “Dieci anni fa sarebbe stata una Cattedrale nel deserto”, di Valeria Colombo.
24 Lettera a padre Gheddo del 24 agosto 1999.
25 A. Colombo, “Esperienze di promozione umana nell’India rurale”, in “Mondo e Missione”, aprile 1974, pagg 253-257.……………………….
Padre Gheddo su Radio Maria (2010)
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