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Ieri è cominciato il Sinodo sulla Famiglia, invito gli amici lettori a
pregare per questa importante celebrazione della Chiesa cattolica.
Desidero solo raccontare la mia esperienza di essere nato da santi
genitori (il giudizio spetta naturalmente alla Chiesa), che ha reso
serena e anche gioiosa la vita mia e dei miei fratelli. In noi bambini
la fede è entrata naturalmente come la lingua italiana, Rosetta e
Giovanni erano davvero autentici credenti e imitatori di Gesù Cristo.
Uno dei più bei ricordi che ho di loro è quando alla sera dopo cena
(pranzo alle 12 e cena alle 19, come molti in Tronzano a quel tempo) si
diceva assieme il Rosario seduti attorno al tavolo della cucina e noi
bambini eravamo aiutati da mamma e papà a recitare l’Ave Maria, a tenere
le mani giunte. E poco dopo ci portavano a letto. Nella camera
matrimoniale c’era un bel quadro di Maria col piccolo Gesù in braccio,
ci inginocchiavamo tutti davanti a quel quadro e recitavamo assieme le
preghiere della sera.
Rosetta e Giovanni si erano sposati per amore, volevano dodici figli
(uno più della nonna Anna!) anche se vivevano in una situazione
economica precaria. Si fidavano della Provvidenza di Dio! Il loro amore
era saldo come una roccia perché fondato su Dio. Erano “sposi per
sempre”. Giovanni ha perso Rosetta a 34 anni (lei ne aveva 32) e le è
rimasto fedele, anche se a Tronzano, dove era un personaggio
stimatissimo anche come presidente dell’Azione cattolica dei giovani,
aveva tante occasioni di risposarsi. Ma diceva: “Ho voluto tanto bene a
Rosetta, che non potrei più voler bene così ad un’altra donna”.
Il 26 ottobre 1934 mamma Rosetta muore di polmonite e di parto con
due gemelli di sette mesi (morti anche loro con lei), papà Giovanni e
noi tre bambini ci siamo uniti alla famiglia della nonna Anna e della
zia Adelaide, sorella maggiore di papà e direttrice didattica delle
scuole di Tronzano. Papà era un geometra e durante il giorno lavorava
molto visitando in bicicletta le cascine e i paesi vicini, ma al mattino
si svegliava alle cinque, per portarci alla Messa prima in parrocchia,
che era alle sei. Ricordo che papà era in coro dietro all’altare, io
servivo la Messa ed ero incaricato, se lui non veniva quando il
sacerdote distribuiva la Comunione, di andare a dirgli di venire e
qualche volta papà dormiva!
Caro papà, lavoravi tutto il giorno e alla sera stavi alzato fino alle
22-23 per fare i conti e disegnare i tuoi lavori. Ma al mattino montavi
la sveglia per non perdere la Messa, pur di portarci i tuoi bambini!
Sono questi gli esempi che rimangono vivi nella nostra memoria di figli e
ci educano ancora alla fede e alla vita cristiana.
La vita cristiana dei nostri genitori li apriva al prossimo. La mamma,
maestra elementare, da ragazza si dedicava gratuitamente ai bambini
nell’asilo e nella scuola elementare e alla sera faceva scuola agli
analfabeti adulti. Educava noi bambini a distribuire metà dei doni di
Gesù Bambino ai ragazzini che abitavano vicini a noi e non avevano
parenti benestanti, come il papà e le sorelle di mamma Rosetta. La
nostra casa era aperta ai poveri, a volte invitati a pranzo.
Papà Giovanni era chiamato “il paciere”, perché quando c’era un
contrasto tra famiglie chiamavano lui che sapeva parlare di pace e di
perdono ed era convincente. Non aveva nessun incarico ufficiale, ma
metteva d’accordo famiglie divise facendole pregare e risolvendo i loro
problemi nelle eredità di case e terreni. Era chiamato anche “il
geometra dei poveri”, perché faceva gratis o per poco le sue prestazioni
per i poveri e per l’asilo delle suore.
Mamma Rosetta e papà Giovanni ci hanno trasmesso una grande fiducia in
Dio, nel suo amore e Provvidenza. Ricordo bene che papà ripeteva spesso a
noi tre ragazzini: “Dovete volervi bene e andare sempre d’accordo”.
Espressioni che ripetevano spesso: “La cosa più importante è fare la
volontà di Dio” (mamma Rosetta), “Siamo sempre nelle mani di Dio”
(Giovanni). Sul letto di morte, al marito che le diceva: “Se guarisci,
faremo in altra maniera perché tutti questi figli ti hanno indebolita”,
Rosetta ripeteva diverse volte: “Giovanni, faremo sempre la volontà di
Dio”.
Certo papà ha sofferto moltissimo per la morte prematura della mamma (il
loro matrimonio è durato solo sei anni, 1928-1934), ma aveva un
carattere che educava anche senza parlare. Era sempre sereno, gioioso,
aperto agli altri, sapeva giocare con noi ragazzini e alla sera
dopocena, finito il Rosario in famiglia, ci chiedeva, uno per uno, come
avevamo passato la giornata, la scuola, l‘oratorio, gli amici
frequentati. Nelle lettere dall’Urss, non è mai triste o scoraggiato, ma
pieno della speranza di poter tornare a casa, in quelle situazioni
tragiche, a 20-30 sotto zero e le bombe nemiche. Ma lui scriveva che era
un freddo secco e si sopportava bene! Non avrebbe dovuto andare in
guerra perché vedovo e padre di tre figli minorenni, ma l’hanno mandato
in prima linea in Russia perché non si era mai iscritto al Partito
Fascista, non partecipava alle manifestazioni patriottiche e aiutava i
perseguitati del regime trovando loro un lavoro. Chiude la sua vita con
un gesto che ricorda quello di San Massimiliano Kolbe ad Auschwitz:
rimane tra i feriti intrasportabili mandando a casa il suo sottotenente
più giovane. Offre la sua vita per lui, poi diventato sindaco
democristiano di Vercelli due volte!
Rosetta e Giovanni dimostrano che si può vivere il Vangelo in una vita come quella di tutti, ma vissuta in modo straordinario. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati alla santità, cioè all’imitazione di Cristo nella normale vita quotidiana. “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” scriveva San Paolo ai Tessalonicesi (1Ts, 4, 3). Non voglio delineare la biografia di mamma e papà in queste due paginette, ma papà, che è vissuto con noi a Tronzano fino al 1940 quando è andato in guerra, ci ha dato esempi di mortificazione perché diceva: “Bisogna mortificarsi nelle cose lecite per poter resistere in quelle illecite”. Non fumava, non beveva vino (se non qualche volta nei brindisi dei pranzi), non giocava al Lotto o d’azzardo (vizio comune anche a quei tempi!); e ci ricordava le virtù e le mortificazioni (fioretti) di mamma Rosetta.
L’Arcivescovo di Vercelli, mons. Enrico Masseroni, comunicandomi la sua decisione di iniziare la causa di canonizzazione (avvenuta il 18 febbraio 2006 a Tronzano vercellese), mi ha detto (testo registrato): «La Causa di beatificazione dei tuoi genitori mi interessa molto e la metto nelle mani di Dio. Io stesso ho avuto un papà straordinario e considero tuo papà del tutto esemplare, perché rappresenta una schiera di uomini dell’Azione cattolica. Anche mio papà aveva fatto la guerra. E mi fa piacere che le figure di tuo padre e di tua madre vengano additate come modello in un tempo come il nostro in cui manchiamo di modelli, un tempo di «aurea mediocrità». Anch’io sono dell’avviso che la chiamata di tutti alla santità dev’essere documentata con esempi concreti. Ricordiamo e onoriamo i tuoi genitori per ricordarne tanti, tantissimi altri». Ringrazio il Signore di essere il figlio primogenito di Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo e raccomando a tutti gli amici lettori di pregare per questa causa di beatificazione, che la Chiesa crede utile come esempio di Vangelo vissuto da una normale coppia di sposi.
Padre Gheddo sul Blog (2015)
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