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Incontro a Roma il confratello padre Mario Bianchin, in Giappone dal 1972. Ha fatto la sua vacanza a Treviso e riparte per il Giappone. Gli chiedo le sue impressioni e mi risponde: “Sono tante, ma la più forte è questa. Parlando con la gente comune del popolo, in Italia e in Giappone, si capisce subito la differenza. Qui siete un paese di mentalità e di cultura cristiana, in Giappone hanno la loro nobile cultura e religione, ma ragionano partendo da basi del tutto diverse dalle nostre. Il Giappone non ha ancora ricevuto la Rivelazione di Dio. Il giapponese è un popolo lavoratore, ordinato, intelligente, rispetta le leggi, lo ammiro e gli voglio bene; ma l’abisso culturale-religioso e naturalmente anche linguistico fra noi italiani e loro è inimmaginabile, abissale. Questa la difficoltà maggiore di convertirsi al cristianesimo”.

Padre Mario racconta. In Giappone non esiste il concetto cristiano di perdono gratuito. Anche loro hanno oggi la parola equivalente a “perdono”, ma significa “pagare il prezzo”. Cioè, chi sbaglia, paga. Il concetto espresso da Gesù: “Perdonate e vi sarà perdonato” lo intendiamo in modo diverso, direi opposto. Il concetto e la parola di “persona” non esistono in Giappone. C‘è il vocabolo “individuo”: uno, due, tre, 50, 100 individui, non singole persone pensanti, diverse l’una dall’altra e tutte portatrici di eguali diritti e di doveri. Gli individui sono numeri di un gruppo. Così è difficile far capire il valore assoluto della singola persona umana, della donna come dell’uomo, del sano come dell’handicappato, del ricco come del povero, del laureato come dell’analfabeta e via dicendo.

In Giappone manca il concetto di Dio che è persona, che ha creato il mondo e l’uomo, si è fatto uomo per salvarci con la Croce, è un Dio buono e misericordioso che vuol bene a ciascuno di noi più di quanto noi vogliamo bene a noi stessi perché siamo suoi figli. I giapponesi credono in Dio creatore, ma è una figura misteriosa, nebulosa, inconoscibile, non si sa cosa pensa e cosa vuole. Per cui, ad esempio, il concetto di Provvidenza non è capito. Loro pensato al fato, alla fortuna e sfortuna, al malocchio o al dio, allo spirito che ti vuole bene o male.

Il concetto di “religione” non esiste, esiste il concetto di “cultura nazionale” che comprende tutto: lingua, storia, tradizione, famiglia, costumi, modo di rivolgersi agli dei e ai “kami”, gli spiriti che aleggiano nel mondo e possono essere benefici o melefici. Di qui l’abitudine degli inchini e di offrire nei templi incenso, candele, doni in natura per tenersi buoni gli spiriti, gli antenati. La nostra preghiera cristiana non è capita. Una volta spiegavo ad un gruppo di catecumeni, che volevano diventare cirstiani, che dobbiamo pregare dicendo: “Signore, sia fatta la tua volontà”; loro dicevano: “No, Dio deve fare la mia volontà, altrimenti come fa ad essere mio padre ed a volermi bene?”.

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Quando noi diciamo che dobbiamo amare Dio, non siamo capiti o pensano che diciamo una stupidaggine. Non esiste il concetto di “amore gratuito”, soprannaturale. La parola “amore” indica “amore sessuale” o derivati dall’amore sessuale, l’amore ai propri figli, ai parenti. Con gli altri è assurdo parlare di “amore” e “amare Dio” è una bestemmia. Allora si capisce anche perché è così difficile per i giapponesi capire il valore della donna, creata dallo stesso Dio, simile all’uomo, degna di ogni rispetto e onore. Nella tradizione giapponese la donna è a servizio dell’uomo, per l’amore sessuale che sa dare e i figli che possono venire (una ricchezza per la famiglia). Due riflessioni:

1) Come scriveva Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Missio”, “la missione alle genti è appena agli inizi”. Possibile? Duemila anni dopo Cristo? Il tempo della “missione alle genti”, come a volte si dice, non è passato affatto, siamo solo agli inizi! Per annunziare Cristo a tutto il mondo, fondarvi la Chiesa, lavorare e pregare affinchè si creino delle “culture” cristiane locali, frutto di inculturazione e di tradizione, ci vorranno ancora secoli o millenni!

2) Perché portare la fede a popoli lontani, quando la stiamo perdendo in casa nostra? Se gli Apostoli avessero fatto questo ragionamento a Gerusalemme, il cristianesimo forse sarebbe ancora una piccola setta nata in Palestina e diffusa fra gli ebrei della diaspora. Andiamo ai non cristiani perché siamo convinti che tutti i popoli e tutte le culture hanno bisogno di Gesù Cristo. Ai popoli “pagani”, come ai musulmani e ai nostri atei e laicisti italiani, non manca lo spirito religioso, manca Gesù Cristo.

Piero Gheddo

Mondo e Missione – marzo 2008

Pubblicato con il permesso del Pime
(18/7 R. Perin – Direttrice dell’Ufficio Storico del Pime)

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