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Inizio oggi una serie di articoli sulla “Missione alle Genti”, cioè ai popoli non cristiani, che sono i tre quarti dell’umanità. La metà dei quali (circa due miliardi) non hanno ancora ricevuto il primo annunzio della nascita di Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo e dell’umanjtà, Questi Blog preparano il “Festival della Missione”, che avrà luogo a Brescia dal 12-15 ottobre 2017. Nel prossimo Blog maggiori notizie. P. Gheddo.
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Alla fine del Concilio Vaticano II (1962-1965) l’entusiasmo per la Missione alle Genti era alle stelle. Ho vissuto dall’interno quei quattro anni, come giornalista de “L’Osservatore Romano” e di “Mondo e Missione” e “perito” della Commissione per l’Ad Gentes. A noi, giovani (e ingenui) preti di quel tempo, pareva possibile e forse anche probabile “la conversione dei popoli a Cristo nella nostra generazione”. La Chiesa si presentava al mondo non cristiano profondamente rinnovata, e proprio nell’ultimo giorno del Vaticano II (7 dicembre 1965), siamo testimoni di un intervento prodigioso, miracoloso, dello Spirito Santo, per salvare il Decreto Ad Gentes.; che per tutta la durata del Concilio, fu il documento più contestato e con il maggiori numero di rifacimenti (sette edizioni diverse!).

La Nota 37 del Capitolo VI dell’Ad Gentes

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Il tema della Missione alle Genti era il più difficile e il meno conosciuto dai 2.500 Padri conciliari. Le difficoltà venivano dalla grande diversità di situazioni all’interno del mondo missionario, diretto da Propaganda Fide (esteso ai cinque continenti). Il testo iniziale del Decreto “Ad Gentes”, preparato prima del Concilio secondo una visione tradizionale delle missioni, prestava scarsa attenzione ai problemi nuovi. Era troppo diverso da quello che i Padri conciliari indicavano nei loro interventi. Si ebbero forme di protesta di singoli vescovi e anche di due o tre conferenze episcopali (mai giunte alla ribalta della stampa), che turbavano i membri della Commissione, a quel tempo non abituati a forme ruvide di “contestazione”

Nel tempo del Concilio si verificavano cambiamenti molto rapidi e radicali nel mondo non cristiano, che rendevano problematico il futuro delle missioni: indipendenza delle giovani nazioni, presa di coscienza delle loro culture e religioni, forti opposizioni ai missionari stranieri (in Asia), moltiplicazione dei vescovi indigeni, urgenza di misure forti per “inculturare” il Vangelo, rapporti difficili fra Chiesa e autorità politiche, mancanza di norme per la partecipazione delle diocesi dei paesi d’antica cristianità all’attività missionaria: la “Fidei Donum” aveva suscitato un grande fervore missionario nelle diocesi, ma i vescovi delle missioni si lamentavano di vari inconvenienti, ecc.

Mancava il tempo per discutere il Decreto “Ad Gentes” fra i Padri conciliari, maturarne i contenuti e poi scriverlo e farlo approvare in aula (la Basilica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo in Vaticano), Un solo esempio. I due vescovi del Pime nell’Amazzonia brasiliana, Aristide Pirovano di Macapà (stato dell’Amapà) e Arcangelo Cerqua di Parintins (stato di Amazonas) si erano fatti promotori di un’azione (diciamo “lobbistica”) dei vescovi latino-americani, i quali riuscirono ad inserire la Nota 37 del Capitolo VI° dell’Ad Gentes. La Nota equipara le (allora) 25 prelazie dell’Amazzonia brasiliana e le molte altre dell’America Latina ai territori missionari dipendenti da Propaganda Fide. Altrimenti, buona parte dei territori missionari dell’America Latina, che per motivi storici dipendevano da altre Congregazioni vaticane, rimanevano esclusi dai consistenti aiuti delle Pontificie opere missionarie.

Nella votazione decisiva (novembre 1965), 117 padri dell’America Latina bocciano la definizione della missione che sembrava escluderli dai “territori di missiome. Ma anche con 117 contrari (su 2.153 voti), la definizione sarebbe passata. Però altri 712 Padri approvano ma “iuxta modum” (cioè: io voto il testo, ma solo se si inserisce la proposta dei prelati amazzonici). Il testo dell’Ad Gentes era da riscrivere (per l’VIII° volta!) perché non approvato dai due terzi! Così si è giunti a far inserire la Nota 37 del Cap. VI dell’Ad Gentes.

Ridurre il Decreto Ad Gentes a sei pagine o abolirlo?

Le difficoltà aumentano quando il 23 aprile 1964, fra la II e la III sessione conciliare, la segreteria del Concilio manda una lettera alla nostra Commissione delle missioni: il Decreto deve essere ridotto a poche proposte. Non più un testo lungo e ragionato, ma un semplice elenco di proposte! Si tentava di far terminare il Concilio con la III sessione (14 settembre – 21 novembre 1964). Alcuni documenti conciliari potevano essere abbastanza ampi; altri, ritenuti meno importanti, dovevano limitarsi a poche pagine di proposte. La motivazione ufficiale era che molti punti di teologia missionaria dell’Ad Gentes erano già nella Costituzione Lumen Gentium (sulla Chiesa) o contenuti in altri documenti ufficiali dei Papi e della stessa Propaganda Fide. Ma era voce comune che le spese per i Padri conciliari e la macchina del Concilio erano del tutto insostenibili per la S. Sede. Pare che poi siano intervenuti gli episcopati più ricchi, specie quello americano e in particolare il card. Francis Spellman di New York (1889-1967), espansivo e simpatico personaggio simbolico della potenza americana, sul quale e sui suoi interventi in latino (la lingua del Concilio) giravano aneddoti gustosi..

Comunque, la Commissione delle missioni lavora a spron battuto per ridurre l’Ad Gentes a 13 proposte. Ne viene fuori un testo lungo solo sei pagine, 200 righe, quasi un susseguirsi di slogan! Un’assurdità, quando si pensa che il documento precedente (la quarta stesura dell’A.G.), era giudicato da tutti un testo ben riuscito in sei capitoli. Nell’estate 1964, le sei pagine con le 13 proposte, vengono stampate e inviate ai Padri conciliari in tutto il mondo e subito arrivano a Roma le proteste dei vescovi e non solo quelli di missione. Il card. Frings arcivescovo di Colonia (il suo “perito” era don Joseph Ratzinger, anche lui membro della Commissione delle missioni) manda lettere ai vescovi tedeschi e ad altri, sollecitandoli a protestare: “Ma come! Si afferma che lo sforzo missionario è essenziale per la Chiesa e poi si vuol ridurlo a poche pagine? Incomprensibile, impossibile, inaccettabile”. Il card. Valeriano Gracias di Bombay scrive che se l’Ad Gentes sono solo quelle poche righe, lui torna subito alla sua metropoli indiana.

Vista la situazione, alla ripresa dei lavori nell’aula conciliare (settembre 1964) un gruppo di vescovi chiedono di abolire il documento sulle missioni, integrando il materiale nella “Lumen Gentium” (sulla Chiesa); altri insistono nel mantenere il breve testo con le 13 proposte; altri invece, più numerosi e agguerriti (c’erano missionari di foresta, che solo al vederli non si poteva dir loro di no), vogliono un vero Decreto sulle missioni e procedono a contatti personali, uno per uno, con tutti i Padri conciliari, conquistando seguaci. La battaglia in aula si conclude nel novembre 1964 alla presenza di Paolo VI: solo 311 Padri conciliari votano il Decreto sulle missioni ridotto a 13 proposte (e molti di questi lo fanno per rispetto al Papa). Ma 1601 chiedono che il Decreto missionario sia salvato nella sua interezza. Così il Concilio non termina con la III sessione, ma si prolunga nella IV, la più lunga di tutte: 14 settembre – 7 dicembre 1965.

Dopo quattro anni di intenso lavoro della Commissione conciliare per l’Ad Gentes (di cui facevo parte) e sette edizioni di quel testo, nel novembre e inizio dicembre 1965 il Concilio ha dovuto fare, per il solo Ad Gentes, ben 20 votazioni. Il Decreto era approvato dalla grande maggioranza ma con circa 500 pagine di “iuxta modum”. E poi interventi in aula che chiedevano ancora aggiunte, correzioni, espressioni diverse. Numerosi gruppi di Padri conciliari protestavano perché non potevano discutere e inserire nel testo le loro proposte. Mancava meno di un mese al termine del Concilio e ancora si doveva riscrivere tutto il Decreto! Nella Commissione missionaria c‘era chi si rassegnava a veder bocciato l’Ad Gentes (un fiasco storico!), chi voleva chiedere un intervento di Paolo VI, chi pregava lo Spirito Santo.

Infatti., misteriosamente (è la parola giusta), nell’ultima giornata del Vaticano II (7 dicembre 1965), tutto è andato a posto: la votazione finale registra 2.394 voti favorevoli, solo 5 contrari, il più alto livello di unanimità nelle votazioni del Concilio! “Lo Spirito Santo c’è davvero!”, esclamava il card. Pietro Gregorio Agagianian, prefetto di Propaganda Fide e presidente della Commissione Ad Gentes.

Padre Gheddo sul Blog (2017)

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