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Incontro a Milano padre Giorgio Bonazzoli. Specialista di sanscrito, ha insegnato all’Università cattolica di Milano e ha avuto una lunga esperienza di dialogo con i monaci indù a Benares in India (oggi Varanasi) dal 1964 al 1989. Dal 1992 è in Papua Nuova Guinea, dove insegna teologia nel seminario maggiore di Rabaul. L’Oceania è in gran parte cristianizzata. In Papua Nuova Guinea, estesa una volta e mezzo l’Italia, i fedeli di varie chiese protestanti sono il 55% dei sei milioni di papuani, il 30% cattolici, il resto ancora animisti.

Il cristianesimo convive con la cultura dominante in PNG e in Oceania, il “cargo cult”: la gente crede nella religione degli antenati, che verranno con aerei e navi a portare le ricchezze moderne. Aspettano questa grande nave che porterà le macchine, le medicine, ecc. Una credenza molto radicata, che è l’attesa del Messia! Questa mentalità non scompare con la fede in Cristo e con la razionalità del mondo moderno. Il “cargo cult” (culto del cargo, le navi trasporto) è un movimento nato in opposizione alla civiltà occidentale, per il ricupero dei loro valori culturali. Grazie al cargo cult gli indigeni riacquisteranno la superiorità sui bianchi. Le merci provengono da un mondo magico, quello degli antenati, il mondo del benessere.

Come combinare la fede in Cristo con questa mentalità e credenza? Anche ragionando con preti colti, è difficile discutere, perché non sono logici, razionali, danno risposte evanescenti o illogiche e sono contenti. La loro fede la vede lo Spirito Santo, ma noi dobbiamo preoccupaci di trasmettere la fede in Cristo unico salvatore dell’uomo, non un nuovo mito. L’inculturazione è un fatto di lunga scadenza, perché nel campo delle culture e fedi religiose i cambiamenti avvengono nel corso dei secoli, non dei decenni. Il “cargo cult” non è cosa del passato, ma è vivo oggi e di conseguenza assume variazioni continue e si sta politicizzando, diventa un partito. L’integrazione nazionale in PNG è ai primi passi. Il fatto che abbiamo 750 lingue e 850 tribù è un fatto reale che divide le persone. Così tutti vogliono avere la loro parte nella ricchezza nazionale, i loro progetti, i loro soldi. Ci sono 42 partiti in Parlamento per avere la loro parte di bilancio, i loro rappresentanti a livello nazionale, il loro “Wantok”: l’unità di quelli che hanno la stessa lingua, condividono le ricchezze e hanno anche la loro Chiesa.

 In PNG non si può parlare di “local church”, perché l’interpretazione più comune è che “la Chiesa della nostra regione è una Chiesa indipendente dalla Chiesa ufficiale e da tutte le altre e dipende dai nostri antenati”. Questo è un movimento culturale-religioso che dipende molto dai capi. Il vescovo non può dire niente, loro organizzano le loro feste, riti, liturgie. Siccome le manifestazioni di fede sono basate molto sul folclore, le feste, i canti, le cerimonie, tutto questo possono farlo al di fuori dell’autorità del vescovo, al di fuori di quello che fa la liturgia cattolica, fanno come vogliono, secondo la loro tradizione. Poi c’è tutto il sottobosco che io non conosco bene, i profeti, i predicatori, quelli che hanno rivelazioni. E questo non è che sia aperto, chiaro, preciso. Non te ne accorgi nemmeno, ma c’è.

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Non è un movimento anti-cristiano, ma a fianco di Gesù Cristo c’è tutta questa loro credenza e organizzazione che va avanti in modo parallelo. E’ gente che viene in chiesa, ma vive questa realtà parallela con passione, in modo autentico. Questa non è un’affermazione rigida, ma fluttuante, puoi incontrare questo e altre cose simili. Ripeto, questo movimento non è contro Cristo, ma va avanti per conto suo, assieme alla fede in Cristo. E’ una credenza tradizionale, magica, profondamente radicata che diventa difficile inquadrare e giudicare. La Chiesa non l’ha mai condannata, ma per esempio, il nostro arcivescovo di Rabaul, tedesco da quarant’anni in PNG, conosce bene queste culture e lingue, ed è nettamente contrario, senza fare teorie o crociate.

La loro debolezza estrema è sociale, razionale, più che religiosa. Quindi bisogna lasciar passare il tempo. Noi abbiamo troppa fretta nel condannare subito. Queste credenze e mentalità, per cambiare, richiedono decenni e secoli. Io credo che non vanno condannate o attaccate direttamente e con forza, per non suscitare reazioni contrarie. D’altra parte, il cargo cult non è contro il cristianesimo. Bisogna discuterne e far vedere la illogicità di questa credenza. Hanno bisogno di realismo, di razionalità, non di condanne.

Piero Gheddo

Mondo e Missione – agosto 2008

Pubblicato con il permesso del Pime
(18/7 R. Perin – Direttrice dell’Ufficio Storico del Pime)

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