Le 300 lettere di Vismara a Pietro Migone

Moglie e vedova di Pietro Migone, che mantenne con padre Vismara una fitta corrispondenza durata 65 anni, la signora risiede a Dublino ed è venuta a Milano per testimoniare al processo informativo diocesano il 5 maggio 1998. Le lettere di Vismara a Pietro Migone sono circa 300 e vanno dal 10/04/1924 al 20/04/1988. Nella “Copia pubblica” della Congregazione dei Santi queste lettere occupano da pag. 2702 fino a 2900 (del volume VII); e poi ancora da pagina 2901 a 2937 del volume VIII (volumi al computer formato A4). Sono le più numerose delle circa 2300 lettere che abbiamo raccolto di padre Vismara (nel 1994 nell’Archivio generale del Pime erano circa 300) e credo anche le migliori, nel senso che Pietro Migone era un amicissimo di Clemente e lo aiutava molto. Quindi spesso il missionario si dilungava a descrivere varie situazioni che si ritrovano in molte altre lettere.
Chi era Pietro Migone? Aveva fatto la carriera diplomatica ed era stato ambasciatore d’Italia in Costa Rica e in Irlanda, dove poi è rimasto con la moglie e le figlie. Genovese e nipote del vescovo ausiliare di Genova mons. Giacomo De Amicis, nel 1923 Pietro Migone va nel seminario del Pime a Genova (aveva 14 anni) e conosce Clemente, col quale rimane in contatto quando pochi mesi dopo diventa prete e parte per la Birmania e si scrivono fino alla morte del missionario. Migone morì qualche anno dopo Clemente di ictus. Ecco cosa ha dichiarato la moglie al processo:

So che mio marito aveva moltissime lettere di padre Vismara e le ha consegnate tutte al postulatore, padre Piero Gheddo, perché le conservi nell’Archivio di padre Vismara. Ciò che aveva colpito mio marito (e me con lui) era il suo entusiasmo per andare a salvare le anime, per andare ad aiutare i più bisognosi senza risparmiarsi, senza temere disagi viaggi (in quelle terre così scomode) per raggiungere tutti quelli che poteva. Io abito in Irlanda, terra di missionari, che spesso rimangono impressionati quando parlo loro di questo missionario che non volle mai tornare indietro, per darsi tutto all’annunzio del Vangelo.
Tutte le lettere di padre Vismara trasudavano fede, fiducia, ottimismo, anche quando descrivevano situazioni difficili e pericolose, anche quando il comunismo e i cinesi crearono urgenti pericoli e preoccupazioni. La sua fu certamente una fede eccezionale! Dalle sue lettere emergeva chiaramente il suo riferimento a Dio ed alla Madonna, la sua fiducia nella Provvidenza che non avrebbe mai mancato di aiutare i piccoli e i poveri della sua missione.
Straordinaria la sua carità, non solo come aiuto al prossimo, ma come amore per Dio. Quante volte leggevo nelle sue lettere: “Per questa gente farei qualsiasi cosa”. Si sentiva veramente padre per loro, per i bambini orfani. Io e io marito ci dicevamo: “Deve avere una fede straordinaria per mettere in pratica così il Vangelo, per amare tutti indistintamente”.
Io credo che padre Vismara possa essere un vero esempio per i giovani. Lo sperimento io stessa quando ne parlo alle mie figlie, così come rimanevano impressionate quanto mio marito e io ne parlavamo con loro.

Io e mio marito, di cui mi faccio portavoce, siamo favorevolissimi alla canonizzazione di padre Vismara. Mio marito desiderava ardentemente che padre Vismara fosse beatificato. Ricordo quante volte diceva: “Mi piacerebbe vederlo Beato!”. Lui, poi, sapeva bene cosa volesse dire perché aveva partecipato alla beatificazione di don Orione. Con la beatificazione di padre Vismara si potrebbe conoscere quest’uomo straordinario, si darebbe alla gente un modello da seguire e imitare. Certo la sua fede e la sua carità erano ben superiori alla media comune delle persone, ma proprio per questo egli potrebbe essere di esempio e di stimolo. Tanto più che non visse nella tranquillità, non parlò solamente, ma donò tutto se stesso. E’ l’esempio della sua vita che si fa testimonianza. Mio marito lo pregava da sempre e so dal carteggio che ebbe con padre Gheddo a proposito di padre Vismara, che mio marito lo pregava sempre e aveva ricevuto una grazia da lui. Purtroppo l’ictus che colpì mio marito e la sua successiva morte hanno impedito di sviluppare ulteriormente la cosa (pagg. 263-265 della “Positio”).

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