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PRIMA PARTE
Situazione
di padre Bossi e notizie su di lui
e sul tipo di lavoro che
svolgeva nelle Filippine.
Padre Bossi è stato rapito il 10 giugno scorso e non si sa ancora nulla di lui. Solo le foto e il nastro registrato dimostrano che è vivo, molte ipotesi ma nessuna certezza.
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Per venti giorni i giornali hanno dato scarso risalto al sequestro: solo “Avvenire” ogni giorno pubblicava notizie o articoli, come anche i settimanali cattolici.
Il 30 giugno 2007 un editoriale del “Corriere della Sera” diceva che non era giusto dimenticare padre Bossi; e il 4 luglio c’è stata una bella manifestazione di popolo a Roma dal titolo “Salviamo i cristiani” in riferimento alla persecuzione che subiscono nei paesi islamici. Nell’ultima settimana, giornali e telegiornali danno spazio a padre Bossi, nella diocesi di Milano e ovunque in Italia diocesi e parrocchie organizzano veglie di preghiera e di digiuno per la liberazione del missionario.
Chi è padre Giancarlo? Mi commuove parlare di lui mentre preghiamo perchè sopravviva a questa drammatica avventura, ma credo importante presentare la sua figura di uomo buono e normale che ha fatto la scelta di essere missionario di Gesù Cristo. I “mass media” dicono solo che è un missionario, ma senza aggiungere altre notizie. A me pare invece che vale la pena di conoscerlo un po’ meglio.
Nato ad Abbiategrasso (Milano) nel 1950 da una famiglia di contadini, con un fratello maggiore Marcello e un sorella minore Pinuccia. Ha abitato in una cascina, dove aiutava il papà nel lavoro dei campi. Dopo le elementari ha conseguito un diploma di perito tecnico meccanico, poi ha fatto il servizio militare. A 21 anni è entrato nel seminario del Pime a Genova e poi a Monza per la teologia.
Padre Carlo Ghislandi che è stato suo professore in teologia mi dice che era uno studente non brillante negli studi, ma studioso, tenace, con un’ottima memoria. Quando giocavi a carte assieme a lui – dice – era meglio averlo dalla tua parte, perché ricordava tutte le carte, altri le dimenticavano.
Un uomo di notevole forza fisica, alto 1,90. Quand’era studente di teologia a Monza, a volte andava alla Grugana per dedicarsi all’orto, era appassionato di agricoltura. Due volte ha rotto il manico della vanga. Usava la sua forza non per imporsi o imporre qualcosa, ma per difendere i deboli.
Quando andava alla Grugana c’erano gruppi di Scout che, se vedevano Bossi, si radunavano attorno a lui e volevano sentirlo raccontare le sue storie delle Filippine. Era simpatico a tutti e sapeva parlare a tutti, attirava attenzione e cordialità.
Padre Giancarlo Politi l’ha conosciuto bene fin da ragazzo e dice di lui: “Era un buon compagno, non ha mai avuto grilli per la testa. Se c’era da fare un lavoro o da aiutare qualcuno, era il primo a impegnarsi. La sua vita non ha avuto nulla di eclatante. Parlava volentieri, giocava bene a basket e a carte, gli piaceva la montagna. Sua caratteristica principale: si faceva in quattro per chi aveva bisogno di qualcosa”.
Ordinato sacerdote il 18 marzo 1978, il 19 celebra la prima Messa ad Abbiategrasso e lo stesso giorno muore suo padre; il 20 celebra il funerale del papà! È destinato alle Filippine e va un anno a Londra per imparare l’inglese. Arriva a Manila nel 1979, dove studia altre due lingue: il “tagalog”, lingua nazionale parlata nel nord del paese e un po’ ovunque; e il “visaya” parlata a Mindanao.
Ha lavorato prima a Manila (nella baraccopoli di Tondo) e poi parroco nell’isola di Mindanao, prima a Payao dove ha fondato la missione in cui abitava quando è stato sequestrato; e poi a Siay, Bayog e ultimamente era ancora a Payao nella diocesi di Ipil, fra pescatori e contadini, perché Payao è sul mare.
Mindanao è l’isola più grande delle Filippine, difficile per vari motivi. È lontana dal nord del paese, più sviluppato a partire dalla capitale Manila. Mindanao è penalizzata dai due movimenti di guerriglia che si sono verificati negli tempi:
1) Quello dei maoisti che vogliono instaurare una dittatura comunista come Mao Tze Tung in Cina; e combattono col “Nuovo esercito del popolo” contro lo stato filippino. Finiti i finanziamenti dalla Cina, questi ribelli quasi non esistono più.
2) Continua invece la guerriglia dei separatisti musulmani, che sono quasi assenti nel resto delle Filippine ma a Mindanao sono una minoranza consistente e vorrebbero separarsi dalle Filippine, paese a maggioranza cattolico, per unirsi alla Malesia, paese islamico. Sono appoggiati dalla rete mondiale del terrore di “Al Qaida”.
3) Inoltre c’è una piccola minoranza di tribali che in genere sono vicini al cristianesimo e si convertono a Cristo: padre Bossi e i missionari lavorano anche tra questi, in luoghi isolati, con poche strade e scarso sviluppo. Popolazione molto buona ma divisa etnicamente e linguisticamente.
La tentazione dei missionari è di immergersi in questi popoli, diventando anche loro un po’, come si dice, selvatici, uomini di foresta. Padre Giancarlo amava la vita semplice e povera col popolo, ma come sacerdote si è sempre mantenuto aggiornato in teologia, Bibbia e altre scienze sacre. Padre Ghislandi ricorda che quando tornava in vacanza in Italia andava da lui per sapere quali erano i libri più attuali da portare nelle Filippine, su Gesù Cristo, la Chiesa, la missione.
Legge un libro per volta, da capo a fondo: è “l’uomo di un solo libro per volta”. Ricorda i libri che legge e poi spiega le verità della fede con linguaggio semplice com’è nel suo carattere e con parole che tutti capiscono. Nei filmati fatti su di lui, ha sempre attorno dei bambini, a volte si piega per prenderli in braccio.
Fin da quando era seminarista, diceva a tutti che voleva essere missionario per condividere la vita dei poveri e dare una testimonianza radicale di Vangelo.
Infatti, il superiore del Pime nelle Filippine, padre Giovanni Battista Sandalo, così descrive padre Giancarlo Bossi: “A Payao la sua gente lo chiama il gigante buono, perché è disponibile per tutti, parla con tutti, ama molto il contatto con la gente ed è molto amato. È un uomo di poche parole, tranquillo, ma un lavoratore eccezionale, che ha sempre coniugato il lavoro manuale con la sua vita spirituale. A Payao gli hanno dedicato una strada, la ‘Father Giancarlo Bossi Street’, quella che conduce alla chiesa: è il più bel regalo che potevano fargli”.
“Uno dei suoi sogni – continua padre Sandalo – era quello di andare a vivere in un villaggio, come testimone della radicalità del Vangelo: veniva da una famiglia di contadini e voleva fare il contadino. Il progetto consisteva nel comperare un pezzo di terra e coltivarla con alcuni contadini del luogo, secondo metodi e strumenti più moderni. Padre Giancarlo diceva sempre di sentirsi ricco quando viveva in mezzo ai poveri, per questo voleva condividere la vita della sua stessa gente. Un’utopia forse, ma per lui la vita va guadagnata con il sudore della fronte, come del resto ha sempre fatto nelle sue varie parrocchie. Insomma, una vita semplice e povera, perché diceva che una vita così permette di riscoprire i valori più profondi come la preghiera quotidiana, soprattutto quella contemplativa”.
“È riuscito per un certo periodo a realizzare questo sogno avendo fatto un’esperienza simile sulle montagne di Dominitag, una decina di anni fa, vivendo in una povera comunità di contadini. Là si è fatto aiutare a costruire la sua casetta di legno, si faceva da mangiare, diceva Messa nella vicina cappella e aveva iniziato a coltivare il riso. Poi è stato chiamato dai superiori ad altri impegni”.
I confratelli del Pime nelle Filippine hanno scritto di lui: “Padre Giancarlo è diventato il punto di riferimento per molti, per la sua capacità di essere il testimone del Regno di Dio non attraverso grandi progetti, bensì con la sua capacità di ascolto nei confronti di tutti. Insieme ringraziamo il Padre per il dono che Giancarlo è per ciascuno di noi. La sua persona, la sua capacità di ascoltare, il suo entrare in simpatia con quanto gli sta attorno, la sua voglia di essere testimone della vita del Padre sono segni che manifestano che la vita è dono da condividere con gli altri”
SECONDA PARTE
Riflessione
sulla vicenda di padre Bossi.
Si parla dei missionari solo
quando c’è un martire, o un sequestrato,
o un fatto grave e
negativo di cui i missionari sono vittime.
Nelle Filippine il Pime ha avuto altri due martiri: Tullio Favali, 11 aprile 1985 e padre Salvatore Carzedda il 20 maggio 1992. Ma ricordo bene che in quelle circostanze c’è stata scarsa attenzione dei mass media per i missionari uccisi.
L’8 settembre 1998 padre Luciano Benedetti è stato rapito presso Sibuco da un’altra banda di separatisti islamici e rilasciato 68 giorni dopo.
Nel 1992, padre Sebastiano D’Ambra, fondatore dell’associazione di dialogo fra cristiani e musulmani “Silsilah”, fu costretto a tornare in Italia per tre anni perché, dopo l’uccisione del suo collaboratore padre Salvatore Carzedda, gli estremisti islamici di “Abu Sayaf” avevano minacciato anche lui.
Nel 2003 anche padre Paolo Nicelli ha dovuto venir via dalle Filippine, perché minacciato di essere ucciso o sequestrato: i superiori l’hanno richiamato in Italia.
Ogni anno vengono uccisi dai 30 ai 35 missionari, in media. Eccetto alcuni casi, come quello di padre Santoro in Turchia, di loro si parla poco e solo per i fatti di sequestri o martirio.
Perché non si parla dei moltissimi padri Bossi che danno la vita per gli altri in ogni situazione del mondo non cristiano, anche in quelle molto difficili e pericolose? Perché i 13.000 missionari italiani nel mondo non sono quasi più ricordati, se non in fatti straordinari e negativi?
Io credo che bisognerebbe prestare più attenzione a questi italiani che dimostrano di amare il loro popolo, a volte fino a rischiare la vita. Lo stesso padre Giancarlo Bossi, senza voler idealizzare un uomo che speriamo venga presto liberato, credo che sia un esempio per tutti, nella nostra. Vi spiego perché…
1) Primo. Giancarlo era un giovane come gli altri, aveva la vita da spendere, sentiva anche lui le passioni e le aspirazioni dei giovani, poteva fidanzarsi, sposarsi. L’educazione cristiana ricevuta in famiglia, in parrocchia, in oratorio, l’ha reso disponibile ad ascoltare e rispondere positivamente alla chiamata del Signore. È diventato missionario nel Pime, ha consacrato la sua vita a Cristo e alla missione della Chiesa nel mondo.
Il Signore chiama molti giovani e ragazze a seguirlo: troppo pochi rispondono di sì. In Italia e nel mondo la Chiesa manca drammaticamente di preti e di suore. Giancarlo è un esempio di come un giovane consacra la vita a Dio e al prossimo.
2) Secondo. Si parla spesso dell’abisso fra Nord e Sud del mondo. E la soluzione che si propone è sempre e quasi solo quella di mandare soldi e macchine.
Non si ricorda quasi mai l’opera dei missionari e dei volontari laici che vanno ad educare e realizzano lo sviluppo trasformando l‘uomo, la famiglia, i costumi.
Lo sviluppo di un popolo viene soprattutto dall’educazione e l’educazione è opera di lungo respiro. Ecco perché chi dona qualche anno o tutta la vita ai più poveri andrebbe proposto a modello per i giovani che vogliono aiutare chi ha fame o è vittima di dittature e di guerre.
Mandare molti soldi ad un popolo analfabeta, a meno si tratti di emergenze come una carestia o profughi di una guerra, non crea sviluppo, ma corruzione! La molla per lo sviluppo viene dall’educazione, nella formazione dell’uomo.
Padre Giancarlo Bossi, nelle parrocchie in cui ha lavorato, creava scuole e cooperative di lavoro, ottenendo due scopi: apriva le menti al mondo moderno e formava la sua gente a superare le divisioni ed a collaborare, condividere, essere attenti al bene pubblico.
Un grande missionario della Birmania padre Gaziano Calogero, diceva: “Prima facciamo la scuola e poi la chiesa. Perché la chiesa senza la scuola non serve”: poi ha fatto anche molte chiese: ma capiva che senza dare a popoli arretrati un’educazione adeguata, non si può creare sviluppo e nemmeno formare dei veri cristiani.
In sintesi, i missionari come padre Bossi andrebbero fatti conoscere nelle scuole, nelle parrocchie, nei associazioni e gruppi giovanili, nei “mass media”, per dare degli esempi positivi di come il mondo ricco può collaborare con i popoli poveri.
Noi stiamo soffocando nella nostra abbondanza, altri muoiono perché non hanno nulla o ben poco. I cinesi hanno questo proverbio spesso citato: “Se vedi un uomo che ha fame non dargli un pesce, ma insegnagli a pescare”. Ma chi, dal mondo ricco, va in quello povero per insegnare ed educare? Ecco l’esempio dei missionari! L’Italia manda soldi, macchine, commerci, ma sempre meno uomini e donne che sappiano affrontare sacrifici e pericoli per amore all’uomo!
TERZA PARTE
Una
grande verità si è taciuta parlando di padre Bossi:
è un
missionario che testimonia e annunzia Gesù Cristo.
Diceva Paolo
VI: “Senza Cristo, non esiste un vero umanesimo”.
Nella nostra Italia ci lamentiamo tutti che non c’è più fede, non c’è più religione, non c’è più cordialità, c’è troppo egoismo, immoralità, le famiglie si dividono, i giovani, si dice, sono fiacchi e senza ideali.
Ma a che serve lamentarsi? Questa è la società che abbiamo creato noi anziani e adulti. Com’è possibile che un giovane cresca con ottimismo e speranza, abbia grandi ideali, se ogni giorno riceve solo informazioni e modelli di eroi negativi dal cinema, dai fumetti, dalle televisioni, dalla scuola, dai discorsi comuni che si fanno?
Ecco perché l’esempio dei missionari è importante anche per noi: la società italiana ha bisogno di testimoni e di annunziatori di Cristo per migliorare la nostra condizione umana. La società italiana ha in parte abbandonato Dio e ci ritroviamo ad avere famiglie sempre meno capaci di educare i giovani.
I missionari come padre Giancarlo Bossi, rischiano la vita per Cristo. Padre Igino Mattarucco, missionario per più di quarant’anni in Birmania scriveva: “Da sempre i missionari hanno svolto opera sociale di aiuto agli affamati e ai poveri, hanno condiviso la loro povera vita, hanno difeso gli oppressi, le minoranze, i perseguitati per qualsiasi motivo. Ma io ho toccato con mano che il contributo essenziale, fondamentale che il missionario e la Chiesa danno alla crescita di un popolo e alla liberazione da ogni oppressione non è tanto l’aiuto economico o tecnico, quando l’annunzio di Cristo, la fede in Cristo. Perché è Gesù Cristo che libera, che salva, che trasforma dal profondo la persona, la famiglia, il villaggio; è Gesù Cristo che “cambia il cuore” nel senso di una maggiore umanità, di un minore egoismo personale”.
Nel “Libretto Rosso” di Mao Tze Tung si legge: “La vera rivoluzione è cambiare il cuore dell’uomo”; Mao si illudeva di aver cambiato, con la polizia e i campi di lavoro forzato, il cuore dei cinesi, rendendoli da egoisti ad altruisti. Ma la sua impresa è fallita, dopo aver causato alla Cina decine di milioni di vittime. Morto Mao il 9 settembre 1976, i cinesi sono tornati ad essere uomini col “peccato originale”, cioè egoisti e oggi non esiste capitalismo più selvaggio di quello che c’è in Cina! Lo dicono i nostri missionari del Pime che vivono e lavorano in Cina.
Gesù Cristo cambia il cuore dell’uomo col suo esempio e la sua parola: “Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per il proprio amico”. Gesù scende nel profondo dei cuori e opera con la sua grazia quella trasformazione senza la quale non si può parlare di vero umanesimo, di vera liberazione e di vero sviluppo. Anche il nostro non è vero sviluppo perché manchiamo di Cristo!
Le vocazioni missionarie diminuiscono. Vent’anni fa i missionari italiani erano 15.000. Adesso pare che, secondo una statistica della fondazione “Missio”, cioè le Pontificie opere missionarie, siano solo 13.000. Sono certamente diminuiti e gli istituti missionari maschili e femminili sopravvivono solo perchè hanno vocazioni dalle giovani Chiese da loro fondate: se fosse solo per i missionari e le suore italiani dovrebbero dichiarare fallimento.
Eppure le richieste dalle giovani Chiese sono in aumento. Ogni istituto missionario ne riceve tante da ogni parte del mondo. Il Pime ha iniziato una nuova missione nel deserto dell’Algeria, fra popoli musulmani: non per convertire a Cristo, ma solo per dare testimonianza di amore all’uomo, di dialogo e di aiuto ai più poveri e abbandonati, di vita spesa per gli altri secondo il Vangelo.
Vorrei dire ai giovani che in questo momento mi ascoltano. Voi avete tutta la vita da spendere e state pensando a cosa potrete fare da adulti. Pregate il Signore che vi illumini e se questa sera vi chiama a seguirlo, anche attraverso la testimonianza di padre Giancarlo Bossi, non ditegli di no: la vostra vita sarà piena, realizzata, felice.
Non pensate che se Gesù vi chiama, vi chiede un sacrificio. No, vi fa un grande dono di cui capirete l’importanza a poco a poco, se con l’aiuto di Dio rimanete fedeli alla sua chiamata. E capirete anche che donarsi totalmente a Dio e alla missione della Chiesa è il modo migliore di spendere la propria vita per i popoli più bisognosi.
Padre Gheddo a Radio Maria (2007)
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