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Perché padre Clemente il 26 giugno 2011 è diventato Beato della Chiesa universale? Domanda logica, perché non era un martire né un vescovo né un fondatore o superiore di ordine religioso; non ha avuto visioni o compiuto miracoli; non ha costruito grandi chiese o scuole o importanti opere ecclesiali. Insomma era un missionario del tutto normale e il suo confratello in Birmania padre Angelo Campagnoli aggiunge che Clemente non emergeva in nulla: non era un costruttore, né un teologo, né uno studioso di culture o di lingue e nemmeno un rinomato predicatore. E quando si è iniziato a pensare alla sua Causa di beatificazione, padre Osvaldo Filippazzi che è stato con lui fino alla morte mi diceva: “Sì Clemente era un bravo missionario, ma se fate santo lui dovete fare santi anche noi che abbiamo fatto la sua stessa vita”. Perché Vismara Beato?
Un missionario come tutti gli altri
Forse proprio per questo motivo: era un missionario come tutti gli altri, però “straordinario nell’ordinario”. Ha vissuto per 65 anni la normale vita di missione in modo straordinario, per la fede, la carità, la preghiera, la donazione totale al suo popolo, la generosità, la gioia di vivere e l’entusiasmo del suo sacerdozio e della vocazione missionaria. Quindi è il personaggio adatto a diventare, come dire, l’icona della santità missionaria, il modello per chiunque sia chiamato a seguire il Signore Gesù in questa affascinante avventura umana e cristiana.
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Nel febbraio 1994 sono andato in Birmania con i padri Gianni Zimbaldi e Angelo Campagnoli (già missionari a Kengtung) per chiedere a mons. Abramo Than come mai voleva fare diventare Beato e Santo padre Clemente. Il vescovo risponde: “Mai a Kengtung avevamo visto una cosa simile. Abbiamo avuto tanti santi missionari del Pime che hanno fondato la diocesi, compreso il primo vescovo mons. Erminio Bonetta, che molti ricordano come un modello di carità evangelica, e altri il cui ricordo di bontà è ancora vivo. Ma per nessuno di essi si sono verificati questa devozione e questo movimento di popolo per dichiararli santi, come per padre Vismara, e questo non solo da parte dei cattolici, ma dei non cristiani animisti, buddhisti, indù, musulmani. In questo io ho visto un segno di Dio per iniziare il processo informativo diocesano”. Ancor oggi a Mongping, grosso villaggio in zona di guerriglia che per noi stranieri è difficile avere il permesso governativo di visitare, la tomba di padre Clemente, accanto alla chiesa e alla grotta di Lourdes da lui costruite, è sempre piena di fiori, di lumini e di devoti che pregano.
Un altro segno clamoroso della “fama di santità” che c’era attorno alla figura poetica e avventurosa del missionario di Agrate Brianza sta in tre fatti affatto nuovi e imprevisti:
– Una settimana dopo la sua morte, avvenuta il 15 giugno 1988, cioè il 21 giugno 1988, il Gruppo missionario parrocchiale di Agrate costituisce un comitato per la causa di beatificazione di padre Clemente e prepara una lettera da mandare al Pime e al sottoscritto chiedendo che l’Istituto si faccia carico di questa iniziativa. La Causa di beatificazione è poi stata portata avanti dagli ”Amici di padre Vismara” (nati dal Gruppo missionario), che dal 1995 pubblica il bollettino trimestrale “Clemente racconta….”.
– Meno di due anni dopo la sua morte, il 25 marzo 1990, nella piazza della chiesa parrocchiale di Agrate è stato benedetto un monumento in bronzo che rappresenta il Beato con un orfano in braccio. Caso unico in Italia per un missionario partito nel 1923 per la Birmania e tornato in Italia una volta sola per poche mesi nel 1957.
– Gli “Amici di padre Vismara” hanno poi acquistato la casa natale di Clemente, una povera e piccola “casa di ringhiera” come si dice, assieme a molte altre, per farne un museo missionario con i suoi ricordi e oggetti mandati dal vescovo mons. Than.
Diventa Beato 23 anni dopo la morte
Il processo diocesano della causa di beatificazione, iniziato dal card. Carlo Maria Martini il 18 ottobre 1996 e chiuso dallo stesso ad Agrate il 17 ottobre 1998 con 132 sessioni e l’interrogazione di 121 testimoni in Birmania, Italia, Thailandia e Brasile, ha ricevuto dalla Congregazione dei Santi il “decreto di validità” il 7 maggio 1999. Da allora sono passati solo poco più di 12 anni per giungere alla beatificazione del 26 giugno 2011. Un periodo straordinariamente breve, che è un altro segno di come la semplicità e la trasparenza Clemente abbiano conquistato i severi membri delle commissioni della Congregazione dei Santi (cardinali e teologi ad esempio) che, mi hanno detto, “hanno approvato con entusiasmo” i vari passaggi del suo cammino verso la santità.
A Kengtung nel 1993 ho intervistato a lungo suor Battistina Sironi di Maria Bambina (1906-1997), che è stata con Clemente a Mongping dal 1957 alla sua morte, tenendogli in ordine la missione e facendo funzionare un’impresa di fede e di carità che, fra l’altro, manteneva circa 300 persone ospitate (orfani, vedove, ammalati, disabili, sciancati, lebbrosi, ladri scacciati dai villaggi dopo avergli tagliato un dito): tutti in qualche modo lavoravano e mangiavano. In quell’ambiente di miseria, carestie, guerriglie, brigantaggio, trovare il riso tutti i giorni per 250-300 persone era già un’impresa. Un’intervista, quella a suor Battistina, veramente commovente, che mi ha fatto capire a fondo quel che scriveva Clemente di lei: “Prego il Signore di morire io prima di suor Battistina, perché lei senza di me vive bene lo stesso, ma io senza di lei non saprei proprio come andare avanti”.
“Per salvare le anime era disposto a tutto”
Le chiedo: qual’era lo stile di padre Vismara nella sua missione? “Salvare le anime e per salvarle dava tutto. Quando andava nei villaggi gli dicevo: “Padre metta il corpetto pesante, in questi mesi qui sulle montagne e in foresta fa freddo e lei non è più giovane. Lo metteva, ma sempre veniva a casa senza, a volte anche senza camicia”. Chiedo a suor Battistina se Vismara era un buon confessore e direttore spirituale. Risponde: “Sì e no, dava grandi esempi in tutto, ma poi quando chiedevo un consiglio spirituale mi diceva: lei vada avanti con fiducia nel Signore come ha fatto fino adesso. E sempre tre Ave Maria per penitenza. Non era un uomo profondo, non faceva grandi ragionamenti. Per lui tutto era facile, semplice, bello. Basta amare il Signore e la gente e tutto è facile, non ci sono problemi. Era fedelissimo alle poche cose importanti, fra le quali la preghiera, e basta”.
Dio si rivela ai semplici, dico a Battistina e lei dice: “Ah sì, padre Clemente era veramente un semplice. Credeva a tutti, anche a quelli che non lo meritavano. Noi gli dicevamo: Padre, non creda a quel tale, non è sincero. Lui rispondeva: “Ah no, è venuto a parlare con me, è pentito, è sincero”. Credeva davvero a tutti. Negli ultimi anni un po’ meno, era diventato più prudente, ma all’inizio che è venuto a Mongping credeva davvero a tutti, anche quando raccontavano bugie grandi come una casa. Ma lui, per prendere le anime era disposto a tutto”.
Eppure Clemente era tutt’altro che uno sprovveduto, un sempliciotto! Era piuttosto un furbo, non secondo la furbizia umana ma secondo il Vangelo. Partendo da zero ha fondato cinque parrocchie: Monglin, Kenglap, Mongphyak, Mongping e Tongtà) con chiesa e tutte le costruzioni necessarie in muratura, casa del padre e casa delle suore, centro parrocchiale, scuole, dispensario, orfanotrofio maschile e femminile, falegnameria, magazzini e stalle, officina, campi coltivati); e poi decine villaggi cattolici per ciascuna parrocchia con chiesetta in legno o in muratura e scuola come minimo. Una volta sono fermati dai briganti per strada, gli portano via tutto, poi lui dice: “Poveretti, avevano fame anche loro”. Un’altra volta i briganti fermano la sua carovana e vogliono rapinare quella povera gente. Clemente li rimprovera con successo: “Non vi vergognate di portare via a questi poveretti tutto quel che hanno? Venite alla mia missione di Monglin e potrete mangiare”. Quando voleva era autorevole, era un uomo robusto e alto circa 1,92 (secondo la testimonianza del sarto di Agrate quando tornò in Italia), un sergente maggiore della prima guerra mondiale con una medaglia al valore militare, e sapeva farsi obbedire. Ma in lui trionfava quasi sempre l’accoglienza, il perdono, la fiducia nell’uomo che aveva davanti e in Dio.
Pregava molto e non contava mai i soldi
Ecco la vera e risolutiva risposta al perchè Clemente diventa Beato e domani, speriamo, Santo della Chiesa universale: pregava molto. Tutte le testimonianze giurate al processo informativo diocesano rilevano questa sua caratteristica. A Battistina chiedo se in 32 anni di vita assieme a lui non saprebbe dirmi almeno un difetto di Clemente. “No, risponde, per me era un santo. Era un po’ semplice e superficiale nella fede, ma ha sempre pregato molto. Me lo diceva anche suor Antonietta che era stata con lui a Monglin nei primi anni della sua missione. Quand’era qui a Mongping andava in chiesa sei volte al giorno, fino all’ultimo giorno che è stato in piedi”. Padre Mario Meda, anche lui confratello di Clemente in Birmania per otto anni, testimonia che Clemente diceva tre Rosari al giorno, oltre a tutte le altre preghiere del buon prete. “Ricordava quel che diceva il santo vescovo Erminio Bonetta: Seminate di Rosari la vostra giornata e ne vedrete i frutti”.
Fin dall’inizio, per ricevere aiuti padre Vismara scriveva molti articoli e lettere, sapeva scrivere bene, i suoi scritti si rileggono ancora con gusto e commozione. Dopo aver cenato alle 19, andava in chiesa a dire le preghiere della sera con i suoi bambini. Poi si ritirava in stanza e scriveva al lume di candela. Anzi in una lettera degli ultimi anni dice: “Divento un po’ orbo e per scrivere questa lettera debbo accendere due candeline, una a destra e una a sinistra per vederci meglio. Una sola non mi basta più”.
Suor Battistina diceva: “Riceveva grandi somme di denaro, ma per sè non spendeva niente. E’ tornato dall’Italia el 1957, l’unica volta che ci è andato in 65 anni di missione, con un paio di scarponi da montagna e usava sempre quelli. Guai a dirgli di comperare un altro paio di scarpe. Tutto il denaro che riceveva lo spendeva per comperare il riso e le medicine e per le spese della missione”. Battistina aggiunge che Clemente non teneva nessun registro per i conti della missione non faceva bilanci né preventivi, non contava mai i soldi che aveva perchè, diceva, “se conto i soldi vuol dire che non mi fido della Provvidenza”. Aveva una borsa chiusa a chiave che teneva in un cassetto della sua scrivania, quando da Kengtung gli mandavano i soldi ricevuti li metteva dentro la borsa e quando doveva spendere apriva la borsa e tirava fuori il necessario. Suor Battistina diceva: “Non so come facesse perché di soldi ce n’era sempre e se qualche volta era in difficoltà andavamo in chiesa a pregare con i bambini e i soldi arrivavano”.
Nella preghiera per la beatificazione di padre Clemente diciamo: “Fa, o Signore, che abbiamo anche noi quella fede semplice ed entusiasta che è stata l’anima di padre Clemente e dei suoi 65 anni di missione”. La fede illumina e spiega tutta la vita e la missione di Clemente Vismara: non una fede come fatto intellettuale, ma incarnata nel quotidiano, un sentimento appassionato che si manifestava nell’assoluta fiducia nella Provvidenza e nell’amore al prossimo più povero e abbandonato che incontrava. Bella la testimonianza data dal suo vescovo mons. Abramo Than al processo diocesano: “Padre Clemente Vismara fu un uomo di fede: vedeva le cose e gli eventi quotidiani con gli occhi della fede. La sua fede lo metteva in grado di vedere Dio in ogni creatura, specialmente nelle persone povere e abbandonate”.
Piero Gheddo
Mondo e Missione – giugno 2011
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