Nella Pasqua di 40 anni fa, il 26 marzo 1967, Paolo VI firmava l’enciclica “Populorum Progressio, Per la promozione e lo sviluppo dei popoli”, esaltata anche nel Sud del mondo come “la carta fondamentale dei poveri” e come “documento profetico”. Ma la profezia di Paolo VI non venne recepita nemmeno nell’Occidente cristiano e ancor oggi è spesso ignorata. La sua originalità emerge nel nostro tempo, quando nel mondo ricco c’è molta delusione riguardo allo sviluppo di certe aree del mondo (specie l’Africa sotto il Sahara ma non solo) e non si sa più cosa fare per aiutare almeno i 34 paesi che il Rapporto 2003 dell’UNDP (United Nations Development Program, Programma dell’ONU per lo sviluppo) cataloga “in via di sottosviluppo”. Infatti, negli ultimi dieci-quindici anni l’ONU ha scoperto lo “sviluppo umano”: non basta la ricchezza (PIL) per dire che un paese è “sviluppato”, ci vogliono i valori umani e umanizzanti come l’educazione, la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti dell’uomo e della donna, la giustizia sociale; in base a questi, un paese si può dire sviluppato o in via di sviluppo o “in via di sottosviluppo”, dove la condizione umana sta peggiorando, magari mentre il PIL aumenta. Era il monito di Paolo VI: “Non separare l’economico dall’umano”!
Negli anni sessanta del secolo scorso, il mondo occidentale stava rendendosi conto della tragedia di miliardi di uomini “sottosviluppati” e l’ONU chiedeva ai paesi ricchi di dare lo 0,7% del loro PIL annuale al Sud del mondo. Pareva che mandando soldi e macchine, costruendo industrie e sviluppando i commerci, si potesse facilmente assicurare lo sviluppo a tutti i popoli. Poi la storia ha dimostrato miopi quegli studi e previsioni e ha sanzionato come disastrose le esperienze di quei paesi poveri (poco meno di venti in Africa) che hanno sperimentato il “socialismo reale” o comunismo. La profezia della Populorum Progressio non stava nell’aver ricordato, com’era giusto, i temi già studiati e discussi per vincere “l’unica guerra lecita”, quella contro la fame: destinazione universale dei beni, giustizia internazionale, fraternità e solidariettà fra i popoli, equità nelle relazioni commerciali, finanziamenti dei “piani di sviluppo”, le distorsioni del capitalismo e dei movimenti rivoluzionari violenti, ecc.
Il contributo originale dell’enciclica è la I° parte intitolata “Per uno sviluppo integrale dell’uomo”, secondo quanto diceva il filosofo cattolico Jacques Maritain e il domenicano L. J. Lebret (fondatore di “Economie et Humanisme”), citati nell’enciclica. La P.P. parte dalle “Aspirazioni degli uomini”, parla de “l’opera dei missionari” (n. 12) per giungere alla “Visione cristiana dello sviluppo” (n. 14) e a “L’ideale da perseguire”: “Il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine” (nn. 12 – 21). Poi tratta il tema: “Verso un umanesimo plenario” (n. 42), affermando chiaramente che “non c’è umanesimo vero se non aperto all’Assoluto… L’uomo non realizza se stesso che trascendendosi, secondo l’espressione così giusta di Pascal: “L’uomo supera infinitamente l’uomo”.
Quando comparve l’enciclica, il mondo cristiano perse un’occasione formidabile per portare alla ribalta lo specifico cristiano del documento, preferendo ripetere quello che già dicevano tutti. Ricordo che nel 1972, cinque anni dopo la P.P., ma è solo un esempio, all’Università Cattolica di Piacenza si svolse una tre giorni di studio sulla P. P. alla quale ero invitato per una breve comunicazione sull’opera dei missionari. Ma i temi principali del convegno erano i problemi economici, sociali, politici, tecnici e commerciali del rapporto fra Nord e Sud. Solo la prima relazione trattava della “Teologia dello sviluppo”, ma era molto astratta e staccata dalla vita, infatti nessuno la riprese. Il contributo davvero profetico di Paolo VI era ignorato.
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Anche oggi ripetiamo più o meno lo stesso errore. Viviamo (e ne siamo più o meno succubi) in un mondo secolarizzato, che vive come se Dio non esistesse e questo porta a mettere ai margini le cause e le soluzioni autentiche del sottosviluppo. Infatti, l‘opera delle giovani Chiese e dei missionari non è certo di assicurare la leggi giuste del commercio internazionale e i finanziamenti dei piani di sviluppo, ma vuole influire sulle cause culturali, educative e religiose del sottosviluppo attraverso i valori umanizzanti di Cristo e del Vangelo. Però, anche nella stampa e animazione missionaria, se ne parla poco o quasi mai..
Piero Gheddo
aprile 2007
Pubblicato con il permesso del Pime
(18/7 R. Perin – Direttrice dell’Ufficio Storico del Pime)
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