Presento il Pime. Nato nel 1850 a Saronno per volere di Pio IX e fondato da Angelo Ramazzotti con queste caratteristiche:
1) Istituto di clero diocesano missionario, non religioso, senza voti. Perché? Perché le missioni erano fatte da monaci nel Medio Evo e da religiosi nei tempi moderni, che però erano quasi sempre dipendenti dal Patronato spagnolo o portoghese. Quindi missioni scarsamente dipendenti dal Papa come organizzazione: dipendevano dal Patronato e dall’Ordine.
Il 1800 è il secolo della rinascita missionaria. Il Papa voleva avere in Italia un Istituto che dipendesse solo da lui e da Propaganda Fide.
Il Pime dipendeva dalle diocesi lombarde e poi venete: presto scompaiono, non aiutano l’Istituto come Ramazzotti sperava e a volte i vescovi ostacolavano le vocazioni dei loro seminari.
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Nel Capitolo del 1924 il Pime diventa “Istituto” e non più “Seminario lombardo”, con vita comunitaria e incardinazione non più nelle diocesi d’origine ma nell’Istituto stesso. E nel 1926 “Pontificio istituto missioni estere”.
Il Pime mantiene una caratteristica diocesana specie nei paesi di missione dove i preti del Pike si considerano e sono considerati come clero diocesano; e l’Istituto lavora per la Chiesa locale dando ad essa tutto quanto ha costruito e fatto.
2) Istituto esclusivamente missionario fra i non cristiani e “ad extra”.
I primi volevano andare nella missione vergine, fra i popoli più lontani e più abbandonati. Romanticismo missionario, ma è rimasto nel Pime il senso della donazione totale alla missione e ai popoli. I nostri missionari si considerano parte di quel popolo nel quale vivono: in passato c’era la promessa, l’aspirazione a non tornare più in patria, la nuova patria era l’India o la Cina o la Birmania.
Il Pime ha preso parecchie missioni dove non voleva andare nessuno: Oceania, Bengala, Birmania, Guinea Bissau, Macapà…. adesso Algeria.
Oggi la “missione alle genti” è in crisi in Italia e mantenere fede all’azione missionaria in senso proprio è una decisione eroica. Il Pime la mantiene e la demostrazione migliore è la nuova missione in Algeria dove non c’è nessuna speranza di conversioni e nemmeno di poter esercitare l’apostolato, di poter fare l’annunzio di Cristo. Diversi missionari hanno scritto un “Manifesto” per protestare contro l Chiesa italiana che non è più missioaria come in passato.
Altro tema di crisi e di ripensamento. La nostra tradizione dice che la missione ai non cristiani per il Pime è quella “ad extra”, cioè fuori del paese dove si è nati: per dare un segno forte di distacco dalla patria e dalla propria cultura. Negli ultimi tempi, con i nuovi preti indiani nel Pime, si pone il problema: perché gli indiani dell’Andhra Pradesh o del Tamil Nadu non possono andare in missione nel Madhya Pradesh o nell’Uttar Pradesh dove la Chiesa è praticamente assente? Cambiano lingua, cultura, ambiente e non hanno bisogno di permessi o visti governativi….
3) Istituto di clero secolare e di laici.
All’inizio i laici erano consacrati a vita e si chiamavano “catechisti”, poi “fratelli”, adesso “laici missioari consacrati a vita” alle missioni.
Da qui è nato l’Alp e sono nate le “Missionarie del Pime” di Busto.
Il laico nelle missioni ha il compito di mostrare ai popoli e ai cristiani come vive un laico, una laica, una famiglia cristiana la sua fede nella vita quotidiana. Importanza dei laici oggi anche in nuove missioni o compiti dove un prete non potrebbe entrare. Aluni istituti missionari, come Meryknoll e Betlemme sono più avanti di noi in questa sperimentazione di laici inseriti in un istituto missionario.
Il Pime è una “società di vita apostolica”, cioè non è un ordine religioso e non è nemmeno una diocesi. E’ il termine nuovo del Codice del 1983 per definire istituti missionari come il Pime.
I missionari del Pime non sono religiosi, non hanno voti religiosi; sono nati come sacerdoti secolari, diocesani e vogliono mantenere questo spirito, che ha il significato di metterli a totale servizio delle Chiese locali che vanno a fondare o ad aiutare.
La differenza sta in questi punti:
1) L’istituto va a fondare una nuova Chiese, non se stesso, perché non deriva dal carisma del fondatore (come i francescani,i gesuiti, i salesiani, i comboniani), ma da un’esigenze di Chiesa, di avere clero disponibile per la Santa Sede per l’attività missionaria; cioè in totale dipendenza dalla Santa Sede e da Propaganda Fide.
2) L’istituto si mette a servizio delle Chiese locali e tutto quel che fa lo fa per la Chiesa locale, si integra col clero diocesano, ecc.
I giovani preti diocesani delle missioni, per fare esperienza pastorale, vengono mandati dai loro vescovi con i missionari del Pime, non con i religiosi: c’è maggior sensibilità e libertà.
3) Il singolo missionario ha maggior libertà che negli ordini religiosi e l’istituto accetta tutti i carismi individuali orientandoli al serizio della Chiesa e alla missoine ad gentes; negli ordini religiosi c’è maggior senso di appartenenza e di progetto dell’Istituto, non dei singoli o della chiesa locale.
4) Istituto comunitario, dove i missionari lavorano “assieme”.
La missione è della Chiesa che la affida all’Istituto, non ai singoli missionari. Non solo, ma i missionari lavorano “assieme”, come comunità, non da soli.
E’ uno spirito nuovo, che si rifà agli inizi del Pime in Oceania: gruppo unito, tutto in comune. Poi nella storia i missionari sono diventati individualisti perché quasi sempre mandati da soli ad evangelizzare vasti territori e si rivedevano poche volte l’anno. Si era perso lo spirito comunitario delle origini. Oggi la tendenza è di educare i missionari a vivere e lavorare assieme.
E’ cambiata la formazione del missionario e le stesse virtù caratteristiche del missionario. Quando studiavo nei seminari del Pime ci educavano ad essere pionieri, leader, fondatori di nuove comunità e chiese. Le virtù raccomandate erano quelle “attive”: il coraggio, il saper vivere da soli e bastare a se stessi, la leadership, la coscienza di essere capi, presidenti della comunità, di saper decidere, ecc.
Oggi prevalgono le virtù “passive”: l’adattamento all’ambiente, l’umiltà di stare in secondo piano (in primo piano ci sono vescovo e preti locali), la pazienza, la sopportazione, saper convivere con il diverso rispettandolo, non imporre la propria cultura, ma accettare quella locale in quanto non ha di negativo.
5) Istituto internazionale, adatto al tempo della globalizzazione.
Il motivo fondamentale è stato chele Chiese da noi fondate chieevano di poter mandare i loro sacerdoti diocesani in missione e non avevano un istituto missionario proprio, quidi chiedevano al Pime di prendere i loro giovani e formarli e mandarli in missione assistendoli.
L’istituto ha aiutato a nascere diversi istituti missionari delle Chiese locali in Brasile, India, Filippine, poi ha fondato propri seminari e oggi il Pime è internazionale con proprie case nei paesi in cui lavora nei cique continenti.
Ci sono già due vescovi del Pime, indiano in India e brasiliano in Guinea Bissau.
Nei paesi e diocesi in cui lavora, il Pime si preoccupa di trasmettere il carisma missionario a quelle giovani Chiese: animazione missionaria, stampa missionaria.
Non basta fondare la Chiesa, bisogna renderla essa pure missionaria. Le giovani Chiese sono il futuro della Chiesa universale.
Padre Gheddo ai giovani ALP (Laici del Pime) (2007)
Pubblicato con il permesso del Pime
(18/7 R. Perin – Direttrice dell’Ufficio Storico del Pime)
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