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“Caro padre, non sono d’accordo sul Vangelo che porta allo sviluppo economico dei popoli. In Armagheddo dell’aprile scorso lei cita un passo del messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima, in cui il Papa scrive che ‘il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell’uomo e dei popoli… è l’annunzio della verità di Cristo’. D’accordo, la Chiesa ha il compito di portare gli uomini a Cristo e al vero Dio che si è rivelato nella Bibbia e nel Vangelo… Ma tutto questo cosa c’entra con lo sviluppo economico, scientifico e tecnico della società?… Oggi i popoli cristiani non adorano più il Dio di Cristo, ma il dio-denaro…. L’economia e la società moderna si sono evolute fuori dell’influsso cristiano, spesso contro la Parola di Dio… Oggi i poteri politici, economici e militari creano ricchezza o povertà in base a quanto conviene loro. Altro che Vangelo, qui Gesù Cristo non c’entra nulla!”.
Caro fratello sacerdote, lei pone tanti problemi che non basterebbe un libro per risponderle! L’ho scritto con Roberto Beretta di “Avvenire”: “Davide e Golia, I cattolici e la sfida della globalizzazione” (San Paolo 2002, pagg. 234). Sono più di quarant’anni che visito i paesi poveri e sempre sento ripetere che il Vangelo è un potente fattore di sviluppo anche sociale, economico, tecnico, scientifico, politico, per i motivi che ho espresso in tanti libri, articoli e conferenze (veda i testi nel sito internet www.gheddopiero.it ). Fin da quando ho incominciato a scrivere queste cose (inizio anni sessanta) ho trovato spesso netta opposizione, anche nel mondo cattolico! In uno dei miei libri su questo tema “I popoli della fame” , l’editrice cattolica che l’ha stampato nel 1982 mise una breve presentazione dicendo che non approvava le mie idee!
Per quale motivo? In Italia viviamo il tempo della secolarizzazione: non si capisce più la stretta relazione che esiste tra come un popolo intende Dio e la sua cultura, la sua mentalità, il suo sviluppo storico e civile. Io non invento nulla, ma gli studiosi e storici delle civiltà scrivono che appunto dall’immagine che un popolo si fa di Dio discendono in gran parte la cultura, la mentalità, il cammino storico. Veda, oltre al volume già citato: Christopher Dawson, “Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale” Rizzoli 1997, pagg. 210.
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A me pare che noi cristiani accettiamo spesso “il pensiero comune”, che è materialista e secolarizzato e crea in noi una mentalità schizofrenica: da un lato Gesù Cristo, i Comandamenti, la preghiera, la vita religiosa: un fatto privato che ci porta alla vita eterna. Dall’altro la politica, l’economia, la tecnica, le scienze, la scuola, i mass media, dove la religione ha scarso o scarsissimo influsso. Assurdo!
Mi chiedo: perché Gesù Cristo, Figlio di Dio, si è fatto uomo? Solo per redimerci dal peccato e andare in Paradiso? Oppure anche perché, seguendo i suoi esempi, possiamo rendere il mondo sempre più adatto per la vita dell’uomo “creato ad immagine di Dio”? Se non fosse così, come spiega lei che il mondo cristiano, preso nel suo assieme, si è sviluppato prima di altri mondi, quello cinese o indiano o arabo-islamico o giapponese, che pure hanno avuto grandi civiltà, grandi filosofi, mistici, poeti, artisti, conquistatori? Oggi studiosi anche non cristiani si interrogano, senza saperne dare una spiegazione plausibile. Il “mondo cristiano” (oggi sempre meno cristiano, ma che viene da quelle radici) ha nella Bibbia e nei Vangeli quei valori che sono alla base di tutto lo sviluppo e che non esistono in altre religioni e culture. Ne ho parlato tante volte: la dignità assoluta di ogni uomo (l’uomo al centro di tutto!), l’eguaglianza di tutti gli uomini e tra uomo e donna, il comando di dominare la natura, il messianismo del Regno dei Cieli che comincia già in terra, la carità, la giustizia, il perdono, ecc.
Non basta dire che noi cristiani oggi siamo peggio degli altri. Non è vero, ma se anche lo fosse, qui non è in questione la nostra fedeltà al Vangelo, ma se Cristo e il Vangelo sono alla radice della nostra storia dell’Occidente e del nostro sviluppo. Secondo lei, Giovanni Paolo II sbagliava quando insisteva nel dire che l’Europa riconosca nel cristianesimo le radici della sua grandezza? Se questa spiegazione non la convince, provi un po’ a pensarci e a prospettarne un’altra.
Piero Gheddo
novembre 2006
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