Missionario del Pime in Birmania dal 1948 al 1966 quando venne espulso dai militari con tutti i missionari entrati nel paese dopo l’indipendenza del 4 gennaio 1948. Il vescovo mons. Guercilena mandava i giovani missionari alcuni anni con Vismara a Mong Lin per educarli alla vita missionaria. L’aretino padre Badiali (1917-2005) è stato due anni con Vismara (1952-1954) e la sua testimonianza al processo diocesano è una delle più significative. Ecco alcuni brani di questo documento:

Padre Clemente a Mong Lin si impegnò a imparare la lingua. Parlando con la gente, so che non la imparò mai bene, ma parlava con il cuore e proprio per questo lo capivano lo stesso…. Preciso che non era molto bravo nel parlare, rispetto alla bellezza del suo scrivere, ma anche qui bisogna dire che egli incantava perchè parlava con il cuore e con profonda commozione (pag. 218 della “Positio”).
Io rimasi con lui due anni (1952-1954) ed ero incaricato dell’orfanotrofio per imparare la lingua. Occorre precisare che orfanotrofio è un termine indicativo: molti ragazzi lì accolti avevano i genitori, ma erano troppo poveri per allevarli. Talvolta padre Clemente comprava i bambini. Al mercato settimanale accadeva spesso che venissero genitori con figli moribondi tanto erano denutriti ed egli li comperava dai genitori dando loro un po’ di denaro ed impegnandosi a mantenerli. Ed era cosa provvidenziale perché tra i ragazzi dell’orfanotrofio nascevano vocazioni sacerdotali e religiose nascevano vocazioni sacerdotali e religiose, catechisti e catechiste: la Chiesa crebbe per mezzo di questo servizio di carità. Ed era difficile anche perché i missionari aiutavano gli ultimi della società, quelle tribù e quelle classi sociali che non valevano nulla agli occhi della classe sociale dominante. I buddhisti spesso ci chiedevano perché aiutavamo gente che non serviva e non aveva capacità. Per loro la nostra opera era inutile e anche socialmente disturbante. I buddhisti rispettavano, ma non approvavano.
Padre Vismara accoglieva solo maschi, a meno che in missione non ci fossero le suore, alle quali affidava le ragazze. Infatti andava d’accordo con le suore anche se, secondo le regole del tempo, non stava troppo a parlare con loro, se non per le cos della missione (pag. 218 della ”Positio”).

Padre Vismara sopportava tutte le prove con gioia perché diceva che se eravamo perseguitati voleva dire che tutto andava bene. Era la sua fede, una fede entusiasta, gioiosa, piena di desiderio di salvare le anime; una fede biblica, giacché la vita cristiana era basata sui fatti, sull’essere conformi alla volontà del Signore, di quel Dio che interviene concretamente nella storia degli uomini e chiama gli uomini a costruire questa sua storia. Questa fu la fede di padre Clemente, che lo sostenne per tutta la vita fino alla morte, con grande allegria e una grande voglia di vivere che sentiva per sé e per i ragazzi che accoglieva appena poteva (Pag. 219 della “Positio”).
Nei due anni che spesi con lui per imparare la lingua, andammo sempre d’accordo. Io ero giovane e quindi molto rispettoso e trovai sempre in lui uno spirito paterno. Pregavamo anche insieme nel senso che ci trovavamo in chiesa a pregare come facevano i preti una volta. Così posso testimoniare che padre Clemente pregava e pregava molto. Diceva: “Se non ci fosse la preghiera, come farei ad essere sempre allegro? Ad accettare le fatiche dei giorni faticosi?”.
Egli pregava con grande raccoglimento e con grande fedeltà, anche quando eravamo nei villaggi pagani. Ci sosteneva molto la Parola di Dio, che era il nostro riferimento costante e il nostro cibo, perché ci indicava la via di ogni giorno, perché il Vangelo è il manuale del missionario. So che padre Vismara amava particolarmente le figure di Abramo e di Mosè che conducono il popolo. Gli dava la forza di essere paziente con la gente, affermava che se Dio era stato così paziente, così doveva esserlo anche lui con il suo popolo.

Egli sopportò tutte le fatiche, sebbene soffrisse di forti dolori di schiena, che diminuirono solo negli ultimi anni. Soffrì anche moralmente quando le cose andavano poco bene, quando vedeva matrimoni fallire o giovani che deviavano dalla strada del bene. Quando vennero i giapponesi, durante la seconda guerra mondiale, egli subì molte umiliazioni, ma sopportò tutto perché voleva rimanere in difesa dei suoi ragazzi (pagg. 220 della “Positio”).

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Una ragazza vicina ad un uomo, in quelle regioni, si pensa subito che abbiano rapporti sessuali. Per questo padre Clemente era molto delicato anche con le donne. Visse sempre profondamente la purezza: lo so perché mi accadde di parlarne con lui e di confessarci. In casa sua non giravano donne, ma anche chi lo accudiva non abitava nell’edificio. Non riceveva mai una donna da sola, sempre per quella prudenza che lo caratterizzava. Questa prudenza gli permise anche di consigliare e indirizzare i giovani alla vita sacerdotale e religiosa.
Anche nell’uso delle cose era capace di serenità e temperanza. Ricordo che fumava la pipa ed era molto contento e quando fumava diceva: “Grazie, Signore, per questo splendido dono che mi hai fatto”. Ma era anche parco nel cibo e in tutto e infatti negli ultimi anni, quando la salute non lo aiutava, smise serenamente anche di fumare. Lui soffriva di malaria e tremava tutto e dovevo coprirlo con coperte e, passata la crisi, rimaneva spossato, ma era sempre sereno. Non so come facesse a riprendersi serenamente, perché normalmente si rimane stanchi per qual che tempo, prima di riprendere le forze. Anche qui si esprimeva la sua serenità.
Padre Vismara parlò sempre con devozione del Papa e del vescovo. Certo lui (come noi, come ogni missionario) parlava dei confratelli e ne vedeva i difetti, ma mai con cattiveria o malanimo, piuttosto spesso per vedere come aiutarlo. Tra noi missionari poi ci si diceva: abbiamo parlato di te e pensiamo che dovresti fare così o così. Era dunque un modo di vivere la correzione fraterna. Mai dunque poteva essere un parlare di qualunque padre. Padre Clemente poi era sempre molto delicato anche in questo: non parlava mai inutilmente degli altri. Andava molto d’accordo con il vescovo mons. Guercilena, il quale aveva molta stima di padre Clemente (apg. 221 della “Positio”).
Personalmente sono molto d’accordo con la sua beatificazione, ne parlo e propongo di pregarlo per ottenerne l’intercessione e le grazie. Lo vedrei volentieri beato perché lo era già nella sua vita. Egli amava Dio e godeva profondamente quando c’erano certe conversioni, quando alcune situazioni si mettevano a favore del bene, quando celebrava i battesimi. In queste circostanze, quando celebrava, quando battezzata un centinaio di persone alla volta, sprizzava di gioia da tutti i pori e tutta la comunità viveva momenti di intensissima gioia e tutti ne rimanevano contagiati. Era la gioia di Dio e del Paradiso che si comunicava (pag. 222 della “Positio”).

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